God of War: Ragnarök

Il ritorno dello Spartano colpisce ancora

Pubblicato il 29 Novembre 2022 alle ore 10:14
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“Ragnarök is coming”, così più volte è stato annunciato l’arrivo della nuova avventura di Kratos e Atreus prima dell’annuncio definitivo arrivato nel primo showcase targato Playstation 5 del settembre 2020. Dopo quel capolavoro che è stato il soft reboot del 2018, tanti si aspettavano un’opera ancora più maestosa da Santa Monica, con la narrazione volta all’inizio del disastro che promette di divorare tutti gli Aesir in una spirale di distruzione e portare così alla rinascita dell’intero mondo. Il team si è preso delle libertà in più rispetto alla narrativa norrena, presentando così qualche personaggio molto diverso rispetto a quanto dovrebbe essere (vedasi Loki, ad esempio) contribuendo nella creazione di una storia unica.
Abbiamo preso e giocato God of War: Ragnarök con la curiosità dei bambini e con l’hype grande quanto Jǫrmungandr arrivando all’epilogo di questa saga con tante emozioni; siamo qui pronti a parlarne anche a voi e spiegarvi come Ragnarök meriti il GOTY 2022.

La guerra degli Dei

God of War (2018) – che da qui chiameremo semplicemente God of War – si è chiuso con uno dei colpi di scena più memorabili che mai si ricordino nel franchise e con una cutscene post credits che lasciava presagire solo il peggio. Dopo la morte di Baldur è finalmente arrivato il Fimbulvinter che annuncia l’arrivo del Ragnarök. Kratos e Atreus hanno visto passare gli ultimi anni di inverno perenne che ha modificato enormemente la geografia dei regni (ad esclusione di Asgard) e la lotta per la sopravvivenza avanza sempre a stento. Atreus, dopo aver scoperto la sua vera natura, viene addestrato per contenere i propri poteri mentre Kratos si ritrova a fare il padre di un ragazzo in piena età adolescenziale, con la voglia di conoscere sempre di più del proprio corpo e del lignaggio che gli è stato lasciato da Faye. La moglie di Kratos vive un’insperata vita nella mente dello Spartano che continua a sognarla, forse sperando in un messaggio che possa aiutarlo a chiarire la sua mente e rassicurare la sua vita.
L’inizio di God of War: Ragnarök è sì basilare, ma non per questo meno impattante rispetto alla sua precedente iterazione, il senso di pericolo si avverte sin da subito, è molto chiaro che Kratos e Atreus hanno un enorme bersaglio sulla loro testa: sono infatti ricercati non solo da Freya, ma anche da Thor e Odino che rappresentano gran parte della potenza degli Aesir. Viene normale paragonare le prime ore di Ragnarök con quello visto quattro anni fa; nonostante il funerale di Faye e l’inizio dell’avventura di Kratos e Atreus siano stati un ottimo modo per iniziare una nuova saga, non si può parlare di qualcosa di nettamente superiore rispetto a quanto visto nel sequel. La potenza devastante delle prime immagini, i primi scontri verbali tra padre e figlio e la sensazione della grandezza di quanto sta per avvenire sono segno che un ottimo lavoro è stato svolto da Santa Monica, e nonostante i gusti siano abbastanza personali ci pare un po' troppo esagerato parlare di “inizio debole e lento” rispetto al passato. Persino i primi boss rendono l’idea della disperazione che si respira nei nove regni e l’elettrizzante incontro con Thor e Odino permette di capire subito l’atmosfera che andrà a permeare l’area durante le circa 40 ore che serviranno per completare l’intera avventura.

Seppur senza Barlog alla scrittura, God of War: Ragnarök mantiene gli stessi livelli – riuscendo addirittura a superarli in alcune sezioni – del suo predecessore, con una narrazione che rimane coerente e senza particolari sbavature se non in piccoli dettagli. Evitiamo ovviamente di fare spoiler, anche se purtroppo si tende a cadere nel solito percorso in cui il buonismo, seppur giustificato, rovina qualche momento ben scritto sacrificando la logica in onore del pathos e del sentimentalismo. Anche il famoso aggettivo “Marveliano” utilizzato da gran parte della stampa viene spesso utilizzato impropriamente: Ragnarök prende immensamente spunto dall’opera precedente per completare una coppia di titoli che raccontano una saga andando a cambiare in maniera profonda il tipo di gioco che è sempre stato God of War. Niente esagerazioni “Disneyiane” e niente “Marvelizzazione”, si tratta semplicemente di coerenza narrativa di un percorso iniziato qualche anno fa con mille dubbi e terminato oggi con un’opera meravigliosa e gigantesca.
L’unico difetto – se così si può chiamare – è l’eccessiva velocità della parte finale che arriva così velocemente da non darvi tempo per colpirvi nell’animo che è già finita, quasi a voler risolvere in pochissimo tempo una situazione che meritava enormemente di essere approfondita e a cui andava dedicata almeno qualche ora in più per terminare tutto come dovuto. Questa è la piccola e flebile differenza che separa Ragnarök dalla perfezione assoluta toccata solo da The Last of Us: Part II e in parte Red Dead Redemption 2, battuto proprio dal capitolo del 2018 ai The Game Awards.

Potremmo stare qui ore a parlare di quanto sia meraviglioso Ragnarök in tutta la sua essenza, ma purtroppo il tempo è tiranno e tocca andare a toccare anche altri argomenti altrettanto meritevoli e positivi. A contornare l’avventura di Atreus e Kratos ci sono svariate attività secondarie che permettono al duo di esplorare 8 dei 9 regni e avere la possibilità di scoprire gli effetti del Fimbulvinter anche al di fuori di Midgard. Le attività secondarie sono di incredibile qualità e scritte come se fossero principali, tanto da far parte effettivamente della narrativa in maniera logica e interessante con iterazioni uniche tra i tre [va contato anche Mimir, presente anche in questo capitolo nella sua magnificenza N.d.H.] diversificati a seconda dalla situazione in-game con dialoghi adattati al punto della trama a cui siamo arrivati. Rimangono i collezionabili (poesie, cimeli vari e persino i bellissimi corvi di Odino) a cui dovrete aggiungere l’equivalente delle Valchirie del 2018 e anche questi garantiranno una sfida impegnativa, permettendo al giocatore di esplorare maggiormente anche le possibilità del combat system – che andremo ad analizzare più in dettaglio tra poco – e la profondità dello stesso.

Un RPG “divino”

Una delle lamentele più importanti mosse a God of War riguarda la parte GDR che è stata quasi ridicolizzata, rendendola un mero insieme di statistiche non influenti con delle armature endgame da utilizzare assolutamente pena la perdita di tempo in scontri quasi impossibili a causa del dislivello con gli avversari. Santa Monica ha ascoltato le lamentele dei giocatori proponendo in Ragnarök un modello più simile a quanto visto in vari esponenti del genere, con armature in grado di donare abilità speciali se costruite in set e in grado di essere potenziate grazie alle numerose risorse trovate nel corso dell’avventura. Il lato fashion in God of War: Ragnarök è potente, alcune armature avranno dei bonus davvero poco rilevanti, ma saranno talmente belle da poter essere utilizzabili anche in fasi avanzate dell’avventura; questo grazie alla possibilità di potenziarle e aumentare le loro statistiche in modo da mantenere il livello richiesto pur rimanendo sempre alla moda. Questo discorso, però, è possibile analizzarlo anche da un altro punto di vista: la parte GDR è talmente ben lavorata che è possibile variare sempre le proprie build, trovando l’equipaggiamento giusto da utilizzare in ciascuna sezione in base alle capacità del giocatore. Non esistono armature in grado di distruggere completamente il post game, ma solo quelle più utili al giocatore adattabili al suo stile di gioco e alle sue armi preferite. Potrete così pensare a una build più difensiva o una più veloce in modo da poter utilizzare le Lame del Caos più sapientemente o attivare più facilmente gli status alterati e sfruttare di più gli attacchi runici; le possibilità sono infinite e dipendono veramente dal proprio stile.

Il lavoro fatto dal team di sviluppo è completamente da amare e stimare solo per la cura dei dettagli in questo senso, l’inserimento di una meccanica (che è l’attacco elementale attivabile con il tasto triangolo) ha il suo potenziale massimo sfruttato grazie a un’altra meccanica e il tutto si amalgama perfettamente in un gioco che fa delle battaglie uno dei suoi punti di forza. Non ci dimentichiamo, infatti, che God of War è un brand in cui lottare e sconfiggere nemici è quasi la normalità e il passaggio dall’action puro al gioco di ruolo è stato tanto radicale quanto inserito nelle giuste quantità e con la giusta cura.
In Ragnarök si troveranno nemici deboli a particolari elementi o da sconfiggere sfruttando una determinata arma a causa della loro armatura, o ancora sci sarà la necessità di usare il proprio partner per causare dei danni per stordire il nemico e finirlo successivamente con un’esecuzione. Più si salirà di difficoltà più le meccaniche di gioco saranno utili per proseguire e finire anche gli scontri più impegnativi: schivate e rotolate, combo, parate e parry sono tutti elementi da dover imparare a gestire il prima possibile per padroneggiare l’intero sistema di combattimento, e i nemici più importanti – il già nominato equivalente delle Valchirie di God of War – saranno molto più impegnativi se non ci sarà l’assoluta perfezione nello scontro.

Questo è tanto vero per Kratos quanto per il secondo personaggio giocabile che eviteremo di approfondire per evitare spoiler, anche se avremmo molto di cui parlare e spiegare. La cura con cui Santa Monica ha differenziato il combat system si nota soprattutto nelle sezioni in cui prenderemo il controllo di questo misterioso personaggio con alcune azioni che sembreranno banali, ma realizzate in maniera tale da farle sentire naturali e quasi magiche.
L’alternanza è ben rappresentata in game ed evidenziata anche dall’albero delle abilità che permettono a Kratos e al secondo personaggio giocabile di aumentare le proprie capacità offensive. Ogni abilità sarà migliorabile grazie ai punti esperienza che verranno acquisiti tramite azioni specifiche [come l’usare un determinato numero di volte una mossa o sconfiggere nemico x y volte N.d.H.] o grazie alle missioni secondarie. Oltre all’esperienza, sarà possibile assegnare un ulteriore potenziamento alle abilità dopo aver completato alcune sfide ad esse dedicate e potremo decidere come migliorarle: si potranno aumentare i danni, lo stordimento o applicare determinate condizioni speciali in base all’abilità scelta. L’aspetto GDR di Ragnarök si nota tantissimo anche in questo elemento, ed è bello vedere come Santa Monica sia riuscita a creare un titolo tanto grande quanto perfetto sotto questo punto di vista senza andare a snaturare davvero ciò che è God of War.

Meraviglia cross-gen

Uno dei problemi con quanto visto su God of War: Ragnarök nel corso delle oltre 60 ore dedicate prima di questa recensione riguarda la sua natura di titolo ibrido. Il nuovo gioco di Santa Monica è infatti nato con la duplice natura cross generazionale, in cui il coraggio di lasciare indietro PS4 è nuovamente mancato e ogni tanto si sente. Su Playstation 5, piattaforma su cui l’abbiamo giocato, i caricamenti nascosti sapientemente dagli sviluppatori puzzano enormemente, rendendoli quasi inutili su console di nuova generazione con perdite di tempo consistenti soprattutto in end game, dove i dialoghi tra i personaggi giocanti sono finiti e quindi si perde il senso di avere delle sezioni dedicate al cambio tra i regni. Purtroppo anche il Dualsense non è stato ben supportato da Santa Monica, forse per evitare particolari differenze tra le esperienze old e current gen, ma la sensazione che possa mancare qualcosa permane in continuazione almeno dal punto di vista dell’esperienza utente.

Dal lato artistico, invece, parliamo del solito capolavoro in cui Raf Grassetti mostra il meglio delle proprie capacità con alcuni tra i migliori design che si potessero immaginare. Se Thor ha sorpreso la maggior parte del pubblico data la non somiglianza con la controparte MCU, vederlo in gioco invece fa capire quanto il possente dio del tuono sia maestoso incutendo timore anche solo con mezzo sguardo.
Odino, invece, rappresentato da un uomo anziano ed apparentemente debole, al contrario di Zeus, è la miglior versione che potessimo mai immaginare.
Non sono solo i personaggi a essere sapientemente realizzati, ma vedere la differenza nei regni giocati nel 2018 e la loro controparte “invernale” è tra le cose più belle che potreste ammirare nell’ultimo periodo ed è un peccato che il tutto non venga valorizzato a livello tecnico quanto dovrebbe. Seppur stiamo parlando di perfezione da questo punto di vista, ci sono alcune problematiche qualitative legate alla natura ibrida di Ragnarök: dopo due anni dal lancio di Playstation 5 gli unici titoli veramente di nuova generazione sono Returnal e Ratchet & Clank: Rift Apart ed è un peccato essere ancora legati alle vecchie console.

Parliamo ora di una delle poche note dolenti di God of War: Ragnarök: il doppiaggio. Più volte nel corso delle ultime settimane si è sentito parlare di un’eccessiva “Marvelizzazione” del contenuto (come già citato nel primo paragrafo) e in parte pensiamo che ciò sia dovuto al doppiaggio italiano che tende a essere poco vissuto e molto recitato. L’impostazione delle voci rende alcuni doppiaggi (soprattutto quelli di Angbroda e di Faye) molto fiabeschi, cosa che invece non si presenta con la controparte inglese che esalta le scene con una profondità che raramente ci ricordiamo. Il consiglio è, quindi, se conoscete la lingua d’oltremanica, di impostarla e godervi tutta l’avventura in questo modo, altrimenti preparatevi a storcere il naso parecchie volte durante il gameplay sottovalutando l’impatto di alcune delle scene più importanti a causa di questo problema.

GOTY o non GOTY, questo è il dilemma

Come ogni anno, la domanda che tutti si pongono riguarda o meno la candidatura di un determinato titolo al premio di gioco dell’anno. Nel 2022 sono usciti tanti giochi meritevoli di tale premio e al netto di problemi tecnici che han pregiudicato l’esperienza - vedasi quelli riscontrati con Elden Ring - God of War: Ragnarök è sicuramente uno tra questi. Sarà il vincitore? Probabilmente no. La potenza mediatica del titolo From Software è troppo elevata e sarà quella a vincere a discapito della vera qualità dei titoli presenti in lista. Xenoblade Chronicles 3 è sicuramente un degno avversario di Ragnarök, ma gli manca nettamente qualcosa per convincere più del titolo di Santa Monica che, quindi, si meriterebbe in tutto e per tutto la nomina a miglior gioco del 2022.

God of War: Ragnarök è un’esperienza tremendamente divertente e un viaggio di quelli che non vorresti mai veder finire ma, purtroppo, risente abbastanza della mancanza di un terzo gioco dedicato in cui sviluppare meglio determinate sequenze e dare più spazio all’evento catastrofico in sé. Lato gameplay è il degno miglioramento di God of War (2018) che, nonostante i suoi pregi, risultava terribilmente ripetitivo e poco ruolistico seppur quella fu l’impronta decisa da Barlog. Nonostante queste parole, però, Ragnarök ha dei difetti che non gli valgono il perfect score [quello è solo di titoli come Persona 5 o The Last of Us: Part II N.d.H.] e che invece lo pongono direttamente a pari del suo predecessore con la differenza (un decimo di voto) dettata principalmente dalle migliorie del combat system e al sistema di quest secondarie. Stiamo parlando di due giochi terribilmente divertenti e pieni di pathos, non si riesce a stabilire nettamente che uno sia migliore dell’altro, ma possiamo garantire che God of War: Ragnarök è una degna conclusione di questa avventura norrena per Kratos che, chissà, magari potrà finalmente godersi il suo meritato riposo.

Good

Trama approfondita quasi perfettamente…
Gameplay migliorato sensibilmente rispetto al predecessore
Quest secondarie di alto livello
Artisticamente meraviglioso e immersivo

Bad

…anche se con troppa fretta nella parte finale
Doppiaggio italiano da rivedere
Si sente la sua essenza cross generazionale
9.6
TRIBE APPROVED

Sviluppatore: Santa Monica
Distributore: Sony Computer Interactive Entertainment
Data di uscita: 9 novembre 2022
Genere: Azione
PEGI: 18
Piattaforme: Playstation 5, Playstation 4

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