BioShock Infinite

Scopriamo Columbia e il nuovo capitolo di Irrational Games

Pubblicato il 21 Aprile 2015 alle ore 12:52
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di Phenrir Mailoki
@Phenrir Mailoki

La gestazione di Bioshock Infinite [B:I], inizialmente conosciuto come Project Icarus, non è stata semplice: previsto per ottobre 2012, subì svariati rinvii e modifiche, e non solo nell’estetica (anche se la più “buffa”, per non dire patetica, rimarrà sempre la riduzione del seno della protagonista…), fino a vedere la luce solo a metà del marzo 2013, per Microsoft Windows, MAC OS X, Xbox 360 e Playstation 3.
Si sa che, in genere, quando un titolo subisce più di un ritardo, questo è sintomatico di uno sviluppo difficile, o mal organizzato, il che conduce quasi sempre ad esiti negativi, se non disastrosi, per il prodotto… Fortunatamente, B:I ha avuto risparmiato tale inglorioso destino: ferito, seppur mai quanto l’orgoglio di Ken Levine (che aveva definito Project Icarus come “il progetto più ambizioso mai fatto dall’Irrational Games”), è riuscito non solo a rialzarsi, ma anzi, ha mostrato alla comunità videoludica di che pasta fosse fatto.

Aleggiano affascinanti “leggende metropolitane” sulla possibile responsabilità di B:I sull’inaspettata liquidazione della casa sviluppatrice, apparentemente indotta da costi di produzione che si sarebbero aggirati intorno alle due centinaia di dollari e che avrebbero “spaventato” Levine nonostante gli oltre sei milioni e mezzo di copie vendute: tuttavia, nulla di tutto ciò è mai stato confermato, e anzi, Levine stesso ha negato apertamente che le spese fossero state anche solo lontanamente simili a quelle supposte dalla stampa, e che il motivo della chiusura fosse semmai rintracciabile nel suo grande desiderio di tornare a lavorare con team di dimensioni minori, non oltre le quindici persone.
Ad ogni modo, è assai probabile che la “vera verità” non ci sarà mai data occasione di scoprirla.

Ciò che è certo, invece, è il valore dell’ultima creatura di Levine e dell’Irrational Games: appunto, Bioshock: Infinite, terzogenito First-Person Shooter [FPS] della serie, che però non è un seguito dei precedenti (o forse sì?), ma ne eredita il gameplay, pur facendolo suo insieme ad elementi originali.
E non solo: tutto, in B:I, ricorda, quasi fa “il verso”, al primo Bioshock, pur differenziandosene fin da subito in maniera molto forte ed esplicita: già nei primi momenti di gioco conosceremo nome, voce, volte del protagonista, avremo anche informazioni sul suo lavoro e parte della sua vita, vizietti compresi, dato che ne intuiremo il carattere, la personalità, la dipendenza dal gioco d’azzardo, e le motivazioni che lo hanno portato a trovarsi al “posto giusto al momento giusto” affinché la sua, la Nostra, storia, possa avere inizio; un cambio d’orchestra non da poco, rispetto ai protagonisti “muti” dei primi due Bioshock, ma non per questo ci si sente spaesati (almeno, da giocatori, dato che il nostro caro protagonista, e noi con lui, lo saremo, e non poco, quando assisteremo a certi eventi…): la possibilità, durante il dipanarsi della storia, di ascoltare delle conversazioni fra Booker DeWitt (questo il suo nome) e la coprotagonista Elizabeth renderà la narrazione di fatti, anche passati, molto più scorrevole e leggera rispetto al solo uso delle note audio (i “voxofoni”) recuperabili con l’esplorazione (meccanica che rimarrà comunque presente in maniera rilevante anche in questo titolo); sarà persino possibile, in alcuni casi, compiere piccole, ma interessanti, scelte “ruolistiche”, come minacciare ad armi spianate, o persino uccidere i civili innocenti, scatenando il caos (e conseguente sparatoria con le forze dell’ordine), o mantenere un comportamento più temperato.

Non vorrei dir troppo sulla trama, dato che parte del valore del titolo sono i colpi di scena che riesce a regalare, e rigiocarlo col “senno del poi” fa comprendere quanto ben scritta sia stata la storia (pur con i suoi “buchi”, intesi non come errori, bensì come “cose non dette” e lasciate alla speculazione del singolo e della comunità di videogiocatori).
Ambientato nel 1912, B:I ci fa vestire i panni del già presentato DeWitt, investigatore che, per annullare un debito personale contratto giocando d’azzardo, si impegna con “qualcuno” nel recupero di una giovane ragazza, della quale conosce solamente nome e volto, grazie ad una fotografia.
Accompagnato presso un faro da due (inizialmente…) sconosciuti, e lì lasciato, DeWitt raggiungerà, non senza stupore, la città volante di Columbia; quasi immediatamente braccato dalle forze di polizia poiché identificato come “falso pastore”, finirà suo malgrado coinvolto nella guerra civile fra le due maggiori fazioni politiche della città-stato: il “Partito dei Fondatori”, capeggiato da Zachary Comstock, il Profeta di Columbia, ed il “Vox Populi”, una resistenza anarchica comunista che vuole rovesciare il sistema nazionalista, xenofobico, razziale ed estremista religioso dei Fondatori.
A livello narrativo, la storia di B:I (ed in particolare della città in cui è ambientato) è chiaramente di stampo ucronico: si rifà non poco alla storia americana di quegli anni e alla Teoria Interpretativa dei Multiversi di Hugh Everett, e non si fa scrupolo di trattare argomenti molto pesanti, alcuni anche attuali.
La città volante di Columbia, intesa nella fantastoria di B:I come simbolo del potere economico, politico e militare degli Stati Uniti della fine dell’Ottocento, venne impiegata come “corazzata volante” per l’eccidio dei Boxer durante l’omonima rivolta, purtroppo realmente avvenuta, nel 1901.
Tale avvenimento creò una frattura fra Columbia e gli stessi Stati Uniti, che rinnegarono l’azione militare e sottrassero la nazionalità americana alla città onde evitare ripercussioni politiche a livello mondiale; ciò suscitò la reazione del “partito” dei Padri Fondatori, uscito da poco vincitore in una lotta politica interna e capeggiato dal già citato Profeta Comstock, il quale dichiarò ufficialmente la Secessione di Columbia dagli U.S.A. Nel 1902: la città-stato si sollevò in alto nel cielo, fin sopra le nuvole, e nessuno sulla “terra” ne seppe più nulla.
I fatti appena esposti sono come già detto una mescolanza fra storia reale e fantasia, ma comunque solo un antefatto, un preambolo, per ciò che è invece il susseguirsi degli eventi cui noi da giocatori parteciperemo direttamente, insieme ai nostri due protagonisti, ovvero Elizabeth ed il suo salvatore/rapitore DeWitt, e che non starò certo a raccontare per non dilungarmi più del necessario, rovinando magari la sorpresa a coloro i quali (spero pochi!) non conoscono ancora questo titolo.

Encomiabile, come sempre, la localizzazione, in particolare quella italiana, il cui doppiaggio rimane fedele agli standard qualitativi dei precedenti Bioshock: anche i nemici più comuni pronunceranno molte frasi e difficilmente si ripeteranno, risultando poco credibili e rovinando l’atmosfera; musiche ed effetti sonori non hanno nulla per cui esser criticati, i rumori delle armi e quelli ambientali sono realistici, la colonna sonora non è invadente ed accompagna bene e nei momenti giusti, e pur non restando molto impressa, da quel tocco in più all’ambientazione tanto “U.S.A. Steampunk”.

Il gameplay di B:I rimane molto fedele ai titoli precedenti, ed è forse l’anello debole della “Grande Catena” (cit.) che è questo gioco: un FPS molto veloce, più dei predecessori, ciò per via di mappe più ampie e con elementi (e movimenti) verticali e dinamici dati dall’uso di “binari volanti”, la cosiddetta “Skyline”, e del supporto che Elizabeth può fornirci periodicamente, grazie ad oggetti per ripristino di Salute e Sali (il “Mana”, per così dire) e munizioni per l’arma equipaggiata in quel momento, più un altro tipo di sostegno “speciale”, reso possibile da una sua particolare ed unica abilità.
Le armi sono divertenti e molto diverse l’una dall’altra, tutte potenziabili e parzialmente modificabili, esattamente come i Vigor (i “Plasmidi” di Columbia), ovvero delle pozioni (contenute in delle bottigliette che da sole meriterebbero un encomio per il loro design…) in grado di fornirci dei “poteri magici” da ottenere ed evolvere durante il gioco.
Un errore, a mio avviso, è stato quello di invertire i limiti di inventario rispetto al primo Bioshock: in B:I sarà possibile cambiare Vigor in qualsiasi momento da quello equipaggiato ad uno qualsiasi fra quelli recuperati, ma non si potranno con se più di due armi per volta; in Bioshock, al contrario, le armi erano tutte in inventario, mentre i plasmidi andavano scambiati fra loro con la “Banca Genetica”. Si tratta pur sempre di uno sparatutto, ma così facendo, hanno invogliato i giocatoriad “abusare” dei poteri dei Vigor a discapito delle armi da fuoco.
Comprendo ciò che può aver spinto verso questa scelta: di certo è anche più realistico il non portarsi in tasca un’intera armeria, ma penso che il motivo principale sia stato la necessità di non sbilanciare il gioco, che risulterà piuttosto semplice già al livello di difficoltà standard tranne in un paio di sessioni particolarmente concitate (fra le quali annovero il combattimento con un boss a mio avviso ben poco ispirato…), anche per una persona non appassionata del genere sparatutto e dunque poco veloce e precisa nel puntare: il maggiore ostacolo per la giocabilità rimane comunque, ahinoi, un ostacolo esterno al gioco stesso ed “esclusivo” dei giocatori console, ovvero il puntamento tramite levette analogiche, universalmente riconosciuto come impreciso e poco pratico, ma accettato con rassegnazione. Nel caso in cui, invece, si giochi con mouse e tastiera, venendo meno l’impedimento del controller, il tutto risulterà ancor più (troppo) semplice: parlo da giocatrice non navigata nel genere, ma che si è resa conto di quanto il gameplay sia a volte anche troppo permissivo con degli errori ipoteticamente mortali.
In sostanza, dunque, si parla di una sistema di combattimento divertente e concitato, ma semplicistico ed a tratti rozzo; divertente e soddisfacente, ma poco tecnico, dunque criticabile da un amante del genere sparatutto.
Appaganti invece le fasi esplorative, spesso affiancate da miniquest facoltative, spesso non impegnative ma piene di segreti e dallo spirito un po’ “alla gioco di ruolo”.

La longevità del titolo è nella media degli FPS, anche se le fasi di poco antecedenti a quelle finali (fra cui il combattimento con il boss più difficile del gioco) le ho trovate poco ispirate e ripetitive, per via dell’uso eccessivo e mal gestito della meccanica del back-tracking: i più vecchi fra i lettori ricorderanno l’atroce sezione di gioco di Metal Gear Solid con la scheda PAL… mi riferisco a qualcosa del genere.
Anche il gameplay in genere, comunque, da quella sensazione di “something’s missing…”, probabilmente dovuta alle modifiche apportate all’idea originale di Levine per questioni di tempo ed economiche. Le Skyline, ad esempio: un’idea tanto geniale quanto sottosfruttata… un peccato, dato che questi elementi stonano con la grande cura posta nell’estetica del gioco, ispiratissima sia negli interni che nelle ambientazioni esterne: tantissimi dettagli, colori, luci, ogni singolo oggetto presente nello scenario è stato studiato per trovarsi lì non per caso, esattamente come l’aspetto di nemici ed NPC, di negozi e negozianti, dei poster e dei brevi video in bianco e nero di propaganda osservabili durante il gioco.

La versione da me provata era quella per console Playstation 3, che tranne i momenti più concitati, ha mantenuto un framerate stabile a 30 fotogrammi al secondo, cosa che pare non sia riuscita alla console Microsoft, sulla quale il gioco, a detta di chi lo ha provato, ha improvvisi cali molto fastidiosi, nonostante (o meglio, “per via di”) una grafica qualitativamente superiore rispetto alla console di casa Sony.
Inutile dire che B:I, settato al massimo su di un PC attuale di fascia media-alta/alta gira magnificamente, e gli sono permessi effetti di luce, riflessi, particellari, profondità di campo etc. nettamente, ed inevitabilmente, superiori alle versioni console, per non parlare dei mezzi di input, ovvero mouse e tastiera, che permettono, come in ogni sparatutto, una precisione di gran lunga maggiore.
Confronti impari a parte, la versione console di B:I è ben più che apprezzabile, e ci regala emozioni, eventi, dialoghi, personaggi, panorami, scorci, colpi di scena memorabili anche con i limiti imposti dall’hardware.

In conclusione, consiglio caldamente il gioco, chi ha giocato i precedenti Bioshock non potrà non apprezzarlo, anche per via dei risvolti di trama ed i continui occhiolini e parallelismi a storie già conosciute; a chi invece non ha mai visto né giocato i primi due titoli, suggerisco di recuperarli prima di cimentarsi in B:I, visto che molte emozioni verrebbero loro precluse nelle battute finali.

Good

Trama originale e ben scritta
Finale inaspettato
Doppiaggio eccellente
Ambientazioni ispirate

Bad

Solo due armi per volta
Gameplay a volte ripetitivo e semplicistico
Sezione esplorativa finale mal pensata
Non uscirà mai un Bioshock: Inifinte 2
8.4
PEM-PEM

Sviluppatore: Irrational Games
Distributore: 2K Games
Data di uscita: 26 marzo 2013
Genere: Sparatutto in prima persona
PEGI: 18
Piattaforme: Playstation 3, Xbox 360, PC

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