Ben ritrovati ragazzi, anche oggi per una nuova recensione. Oggi tocca a Darkest Dungeon II.
Come vi dicevo pochi giorni fa, questa è l’ennesima mia recensione, purtroppo però ho veramente finito aneddoti da raccontarvi che non siano blasfemi e/o con parole che non possono essere ripetute! Quindi bando alle vuote ciance e godetevi la recensione di quest’altra perla di Red Hook Studios.

Darkest Dungeon II è arrivato e ha dato una svolta all'intera formula. Avete il vostro villaggio, ora noto come Altare della Speranza, ma è un luogo dove sbloccare potenziamenti permanenti, gingilli, palette personalizzate per i vostri personaggi o addirittura i personaggi stessi. Oltre a questo, c'è poco da gestire. L'avatar principale è una diligenza sgangherata con una piccola torcia in cima. Siamo rimasti molto contenti che abbiano mantenuto la torcia come meccanica nel gioco. Il narratore è ancora presente e fa osservazioni profonde come sempre. Dall'Altare della Speranza, la diligenza si dirige verso il confessionale. Scegliere una confessione determina quale capitolo del gioco si giocherà, e il narratore spiegherà il destino certo che la squadra dovrà affrontare. Infine, c'è il bivio, dove si sceglie la propria squadra. Abbiamo notato subito che il roster non era così completo come nel primo gioco [per poi scoprire successivamente la prima run che era possibile sbloccare i personaggi N.d.R.]. Delusi dall'assenza di alcuni dei nostri eroi preferiti, ci siamo addentrati lentamente nella prima area.

Entrando in combattimento per la prima volta, ci siamo subito sentiti a casa, abbiamo completato la battaglia a turni con gusto e abbiamo raccolto le ricompense. Per chi non lo sapesse, le battaglie di Darkest Dungeon sono a turni e l'ordine dei turni è determinato da una statistica di velocità. La posizione in Darkest Dungeon II è importante, in quanto determina le abilità che il personaggio può usare e contro chi, nello schieramento, può usarle. Mentre la diligenza procedeva lungo la strada acciottolata, siamo arrivati alla prima locanda e il gioco ha acquisito un po' più di senso. Accolti con punti maestria, abbiamo iniziato a guardare le opzioni davanti a noi e le abilità da potenziare. All'inizio della nostra run, siamo stati accolti con opzioni per migliorare le abilità di base o persino le abilità di utilità per rendere la run molto più fluida. Uno dei personaggi nel menù della locanda ci permetteva di attaccare oggetti alla nostra diligenza per avere la possibilità di produrre un oggetto medicinale a ogni fermata o di aumentare le probabilità di avere un punto relazione positivo mentre siamo in diligenza. Potevamo anche attaccare delle torce speciali alla diligenza, rendendo il nostro viaggio più facile o più difficile a seconda della torcia equipaggiata. Attenzione però, il gioco dice: "Una volta attaccata una torcia, non può essere rimossa o sostituita fino al termine della run."

Finalmente le modifiche apportate da Red Hook Studios alla formula di Darkest Dungeon cominciarono ad avere un senso e a fare presa su di noi. Darkest Dungeon era incentrato sui cambiamenti permanenti. Sebbene Darkest Dungeon II non abbandoni l'idea del cambiamento permanente, consente anche di apportare modifiche più effimere, specifiche per una singola run. Abbiamo usato i punti maestria, ad esempio, per migliorare un ordine di abilità stabilito in base all'importanza che ritenevamo potesse assumere ciascuna abilità. I gingilli si sbloccano tra una corsa e l'altra, ma non si possono vendere durante la corsa, il che li rende temporanei. I potenziamenti applicati alla nostra diligenza erano limitati a ciò che trovavamo per strada o in una locanda.

Abbiamo affrontato il primo atto e siamo rimasti subito sorpresi dal numero di tappe che ci attendevano. In basso a destra, ci è stato detto quante leghe avevamo fino al prossimo riposo. Sul percorso ramificato davanti a noi, c'erano sette fermate separate con ulteriori percorsi ramificati, ognuno dei quali rappresentava un passo avanti per determinare il destino della nostra squadra. Quando sceglievamo un percorso, dovevamo fare diverse considerazioni. Questo percorso ci condurrà alla fine dove desideriamo andare? Possiamo resistere a un altro attacco alla diligenza? Pensiamo che il Collezionista avrà dei veri e propri potenziamenti o dobbiamo cercare di superare il maggior numero di fermate senza combattere? Se eravamo fortunati, tra le prime fermate c'era una torre di guardia che ci permetteva di pianificare il nostro viaggio, ma spesso correvamo alla cieca.

Il gruppo riuscirà ad andare d'accordo durante questo viaggio o finirà in un disastroso crescendo di animosità di fronte al pericolo? Possiamo assicurarvi che quasi sempre finisce in un disastroso crescendo di astio con almeno una coppia di personaggi, ma quando non succedeva, ci sentivamo invincibili. I rapporti sono tenui anche nelle migliori circostanze, quindi è comprensibile che si deteriorino rapidamente durante il viaggio in diligenza. Quando si verificano degli eventi, i vostri eroi avranno un'opinione su come dovrebbe essere gestito l'evento. Questa opinione può avere un effetto positivo o negativo sul loro rapporto con un altro eroe. Il fiorire o l'affievolirsi di una relazione non dipende sempre da voi, ma è influenzato in modo significativo dalle vostre azioni, e i risultati possono essere potenti. Quando si forma una relazione, si viene informati prima di partire dalla locanda. Sia le relazioni positive che quelle negative influenzano le abilità utilizzate in battaglia. In una relazione negativa, l'uso delle abilità di un personaggio può influenzare negativamente l'altro giocatore. Ad esempio, se il nostro medico della peste ed il crociato hanno una relazione negativa, il gas accecante del medico della peste può far sì che il crociato infligga meno danni il turno successivo all'uso del gas accecante. Al contrario, un rapporto positivo può far sì che il gas accecante dia una piccola guarigione o un buff al crociato. Queste relazioni determinano il destino del vostro gruppo.

Parte della lotta per andare avanti è assicurarsi che la diligenza sia in perfetta forma. La diligenza di base, non equipaggiata, può resistere a tre pericoli che attaccano l'armatura o a tre strade accidentate che danneggiano le ruote. Se si esaurisce, ci si prepara a una battaglia. Questa battaglia speciale richiede che almeno un membro della squadra, per ogni turno, rinunci al proprio turno e lo spenda per riparare la diligenza. Indipendentemente dalla durata della battaglia stessa, un membro deve sempre essere impegnato nella riparazione. Un altro pericolo a cui prestare attenzione durante questo viaggio maledetto sono le lacrime dell'oblio. Queste lacrime creano disgusto, un male generale che affligge il mondo, e più ce n'è, più il viaggio diventa difficile. Il disgusto può essere ridotto combattendo le battaglie, ma se è al massimo, il boss della confessione alla fine del percorso si agiterà e la battaglia sarà più difficile.

Lo stress viene ripreso dal primo gioco ed è in gran parte lo stesso. Ogni personaggio ha una barra dello stress sotto la barra della salute e alcuni personaggi hanno abilità di guarigione dallo stress. Alcuni nemici possono anche bloccare la guarigione dallo stress, il che è piuttosto frustrante. Quando la barra dello stress si riempie, sono guai. Il membro del gruppo che si è stressato avrà un crollo, che rimuoverà tutto lo stress. Ma la perdita di stress comporta una perdita di salute. Infatti, il membro del gruppo in crisi perde la maggior parte della salute e anche l'affinità [punti relazione N.d.R.] con tutti i membri del gruppo. C'è una piccolissima possibilità che il membro del party diventi risoluto, il che lo fa guarire, gli fa guadagnare diversi buff e gli fa aumentare l'affinità con i membri del party.
Dal punto di vista narrativo, Darkest Dungeon II espande i nostri eroi attraverso i Santuari della Riflessione. Una volta raggiunti, si sceglie un eroe di cui si vuole esplorare la storia. Questo ci ha entusiasmato perché, sebbene nel primo gioco si sia appreso qualcosa sugli eroi, Darkest Dungeon II offre cinque capitoli per ogni eroe. Inoltre, non è sempre e solo il narratore a spiegare la storia del personaggio. Nella storia della Tombarola, abbiamo avuto modo di controllarla in una battaglia contro un personaggio che non vi diremo per evitare spoiler, ma possiamo dirvi che ogni personaggio ha delle storie incredibili con delle meccaniche particolari e specifiche per quella narrazione. Questo ha fatto sì di non poterne fare a meno: se vedevamo un Santuario della Riflessione sulla mappa, quello era il nostro obiettivo. Volevamo conoscere la storia di ogni eroe. Però non è solo una questione di worldbuilding e narrativa, perché fare i santuari e completarli sbloccherà anche delle nuove abilità dei personaggi, quindi converrà sempre affrontarli.

L'estetica di Darkest Dungeon II non rimane del tutto invariata rispetto al primo gioco, ma è stata migliorata. Artisticamente, Darkest Dungeon II vanta uno stile artistico unico, così iconico che è la prima cosa che ci viene in mente quando si parla del gioco. Contorni duri, colori splendidamente contrastati e un'interfaccia utente semplice, ma ricca di informazioni: come il suo predecessore, Darkest Dungeon II stabilisce un punto di riferimento artistico per i giochi del suo genere. Tenendo conto di tutti i miglioramenti fatti dalla grafica al passaggio in 3D, la migliore offerta di Darkest Dungeon II è rappresentata dai membri del gruppo accasciati ed esausti quando finalmente si raggiunge la locanda. La personalità di ogni personaggio risplende davvero quando si accascia esausto su una sedia attorno al focolare.

In conclusione possiamo dire che Darkest Dungeon II non è assolutamente un titolo perfetto, ma il design, la cura con cui è stato esplorato questo mondo, raccontato questo racconto e creato un gioco che si desidera giocare più volte è assolutamente magistrale e brillante. Come lo era la prima volta. In definitiva, Darkest Dungeon II è un titolo imperdibile per chiunque abbia trovato qualcosa di piacevole nel primo. I nuovi giocatori però sono avvisati: Darkest Dungeon II è un'esperienza incredibile, ma non pensate che sia facile arrivare alla fine indenni o semplicemente alla fine e basta. Darkest Dungeon II è brillante, stupefacente, un vero spasso da giocare e un'evoluzione eccezionale rispetto al primo gioco.

Il codice c’è stato fornito per PS5 e PC dal publisher, la versione testa per la recensione è quella PS5.

Poco più di due anni fa usciva Elden Ring, titolo capace di cambiare la concezione di open world dell'industria videoludica e di dimostrare che si poteva fare di più con i mezzi a disposizione. Oggi, signore e signori della Tribù, siamo qui per parlare di come Miyazaki e FromSoftware siano riusciti a ripetersi, producendo e pubblicando uno dei DLC più ambiziosi dopo The Old Hunters di Bloodborne, ovvero Shadow of the Erdtree. Offrendo da un minimo di venti ore ad un massimo di circa quaranta di contenuto aggiuntivo, questo DLC sembra un intero nuovo gioco nel quale il team di sviluppo ha voluto mostrare la solita abilità nel generare grandi quantità di contenuto, spesso di qualità, oltre a migliorare la quality of life dei giocatori con una patch appena prima dell'uscita. From ha poi giustamente deciso di equilibrare il tutto inasprendo la difficoltà che, però, è stata ingiustamente accusata di essere stata resa fin troppo cattiva; per quanto From ci abbia abituati a estreme difficoltà, crescenti di gioco in gioco, come vedremo in seguito in questa recensione, la difficoltà di questo DLC si basa su di alcune regole specifiche che, se non rispettate, possono portare ad un'esperienza alquanto frustrante e estremamente difficile da portare a termine.

Ma ora, senza ulteriori indugi, ecco a voi la recensione di Elden Ring Shadow of the Erdtree!

Shadow of the Erdtree: un piano parallelo all'Interregno

In questo DLC veniamo catapultati in un, per dirlo con termini da Dungeons & Dragons, piano di esistenza che si sovrappone all'Interregno; in questo luogo Miquella sta mettendo in atto un piano misterioso che potrebbe cambiare il destino dell'intero universo di Elden Ring. A noi poveri Senzaluce non è ovviamente dato sapere quale sia il suo obiettivo e veniamo lasciati a seguire le tracce lasciate dal semidio stesso, delle Croci di luce, nella speranza di poterlo raggiungere e ottenere le risposte che tanto desideriamo.
Come è facile intuire, il mondo di Shadow of the Erdtree presenta ambientazioni estremamente simili all'Interregno, da grosse zone di prateria e collina a paludi, acquitrini e laghi, alcuni di normale acqua, altri sotto effetto di veleno o marcescenza. Ciò che differenzia questo piano da quello principale è quindi la presenza di avversari mai visti prima, alcuni cornuti, altri con lame lunari e altri ancora con armi legate al veleno e alla marcescenza. Inoltre, troviamo anche alcuni Senzaluce che vivono in perfetta armonia e coesistenza sotto la grazia di Miquella. Questi uomini e donne anelano solo di trovare e comprendere il semidio, quindi lo cercano continuamente, percorrendo le tracce che egli ha lasciato e aiutandosi l'un l'altro nel farlo. Le quest di questi nuovi NPC, alquanto interessanti, sono quindi tutte centrate intorno alla figura di Miquella; alcuni lo amano, altri lo odiano, ma nessuno sembrerebbe voler veramente fargli del male...

La trama del titolo, come è usuale in ogni Souls, è quindi alquanto lineare e con pochi colpi di scena, un classico viaggio nel quale il nostro Senzaluce dovrà sconfiggere boss dopo boss per fermare qualsiasi cosa Miquella stia facendo.
Ciò che, come al solito, riesce a stupire, è la quantità di contenuto offerta da questo mondo che, nonostante sia decisamente più piccolo dell'Interregno, presenta molti nemici completamente nuovi, racconti inediti che rendono più ricca la storia del territorio, personaggi nuovi e con una vita tutta da raccontare. Insomma, come sempre il worldbuilding è di altissimo livello e il modo in cui viene mostrato, dalla scelta di illuminazione alla presenza di marcescenza o di nemici, è eccezionale e riesce a intrigare, a far pensare: "E se andassi dietro a quella roccia? O sotto quel ponte? Cosa ci fa qui questa cosa? O ancora...".

La difficoltà aumenta all'Ombra dell'Albero

Prima di tutto, come accennato nell'introduzione, va discussa una delle uniche critiche rivolte a Shadow of the Erdtree, ovvero l'improvviso aumento della difficoltà che ha fermato molti dall'andare oltre i primi boss; sebbene questo aumento sia effettivamente presente, il titolo spiega sin dall'inizio che ciò è dovuto alla nuova meccanica esclusiva per il DLC: Le Benedizioni. Queste sono due, la Benedizione dell'Albero Ombra e la Benedizione di Ceneri di Spirito Venerate: la prima, potenziabile attraverso i Frammenti di Albero Ombra trovabili per tutto il DLC, migliora le statistiche del personaggio, mentre la seconda, potenziabile attraverso le Ceneri di Spirito Venerate trovabili per tutto il DLC, potenzia gli spiriti evocati [io per esempio ho usato tanto Tiche e ho dovuto potenziarla tramite la Benedizione di Ceneri di Spirito Venerate, mentre quelle dell'Albero Ombra sono risultate ancora più fondamentali N.d.R.].
Queste Benedizioni risultano quindi fondamentali per pensare di riuscire a sconfiggere i boss e i nemici che ci si presentano davanti, dai più scarsi ai più forti [il vostro redattore è entrato nel DLC a livello 150, il minimo suggerito, e le prime ore sono state di sofferenza; appena ho iniziato ad utilizzare la meccanica delle Benedizioni, il gameplay è cambiato completamente N.d.R.].

Il gameplay subisce pochi altri cambiamenti, principalmente attraverso la patch precedente all'uscita: la quality of life viene migliorata attraverso degli accorgimenti [che onestamente sarebbero dovuti essere presenti dal giorno di uscita del titolo principale N.d.R.] come un punto esclamativo che mostra gli oggetti e le armi nell'inventario appena raccolti o una nuova tab nell'inventario chiamata 'Recenti' che mostra tutti gli oggetti in ordine di raccolta. Inoltre, i giocatori si ritrovano con una grossa quantità di nuove armi, nuovi incantesimi, nuove ceneri di guerra, nuove evocazioni e nuovi NPC con quest uniche e facilmente perdibili che ampliano ulteriormente il divertimento.
Gli unici problemi del gameplay, che persistono ormai da tempo, rimangono quelli legati all'imprevedibilità della telecamera, che spesso si blocca in muri, nemici o animazioni strane, oltre a quelli legati al tracking dei nemici e all'input reading, che portano solamente a grande frustrazione.

Ad eccezione di questi piccoli problemi, il gameplay è ottimo e offre ore di divertimento anche solo nel provare una determinata arma rispetto a un'altra o a seguire passo passo una determinata quest per vedere che fine fa quel personaggio.

Shadow of the Erdtree

I comparti tecnico, artistico e sonoro

Un grosso problema di Shadow of the Erdtree si presenta nel reparto tecnico che, nonostante l'esperienza con Elden Ring, non riesce a ottimizzare il DLC in maniera ottimale. Per quanto giri generalmente senza troppi problemi, Shadow of the Erdtree, anche a causa del gran numero di particellari utilizzati, scatta e, specialmente nei combattimenti contro i boss, spesso non riesce a sopportare al meglio la fluidità dell'azione. Bossfight come una in particolare [che non menzioneremo per evitare spoiler N.d.R.] creano una situazione nella quale gli effetti speciali delle fiamme finiscono per oscurare completamente la telecamera e per rallentare il gioco in sé, che deve gestire una quantità notevole di nuovi elementi [ho giocato su un Prometheus XVII dell'Eluktronics montante una GeForce NVIDIA RTX 3060 e un processore AMD Ryzen 7 4800H N.d.R.].

Contrariamente a quanto detto per il comparto tecnico, quello artistico e sonoro si sono superati nuovamente: Shadow of the Erdtree è stupendo da guardare, offre scorci meravigliosi e capaci di farci fermare e scendere da Torrent solo per ammirare il panorama.
Allo stesso modo, il reparto audio è pressoché perfetto, a partire dagli effetti sonori che rendono vero e vivo il mondo, fino alle colonne sonore di boss e aree che riescono sempre a generare nel giocatore il perfetto umore per affrontare la sezione in arrivo.

Shadow of the Erdtree

Conclusioni su Shadow of the Erdtree

Elden Ring Shadow of the Erdtree è definibile uno dei migliori DLC mai rilasciati per un videogioco e va a rivaleggiare con The Old Hunter [per quanto il mio cuore rimanga con il DLC di Bloodborne N.d.R.].
Questo contenuto aggiuntivo a pagamento si presenta offrendo una quantità di contenuto pari a quella di buona parte dei videogiochi completi che si sono visti uscire negli ultimi vent'anni, riuscendo nel mentre a rimanere coerente con il mondo del titolo principale, non andando mai in conflitto con informazioni precedenti e riuscendo ad essere una bella esperienza da affrontare in qualsiasi momento del gioco, anche se si consiglia di arrivare almeno al livello 150 per accedervi.
Insomma, Shadow of the Erdtree merita di essere giocato da tutti i fan dei Souls e, in particolare, dai fan di Elden Ring più hardcore e più interessati alla lore e alla sfida che questo mondo dorato dalla Grazia offre. Promosso a pieni voti.

Il codice ci è stato fornito dal publisher per PC.

Uno Schim è il cuore e l’anima residente in ogni oggetto, sia che esso sia vivente o inanimato e, nel nostro titolo odierno, questo viene rappresentato come un esserino che vive all’interno della nostra ombra, seguendoci nella vita di tutti i giorni. Può però accadere, molto raramente, che un oggetto o un essere vivente possa venir separato dal suo Schim con effetti quanto mai nefasti. Uno Schim deve infatti fare tutto quanto in suo potere per ricongiungersi con il suo proprietario, prima che sia troppo tardi e, anche se non è del tutto chiaro cosa possa succedere in caso contrario, ci viene fatto intendere chiaramente che non si tratta di nulla di buono.

In SCHiM vestiremo quindi i panni di uno… Schim, esatto, e dovremo cercare in tutti i modi di ricongiungerci con il nostro umano prima che accada il peggio. Gli Schim sono però assai limitati nei loro spostamenti e, oltre a ciò, dispongono anche di poca influenza sul mondo che li circonda. Per ricongiungerci con la nostra metà mancante dovremo infatti muoverci tra le ombre attorno a noi, sfruttando di tanto in tanto la nostra influenza per interagire con il mondo esterno, per eseguire certe azioni o lievi manipolazioni. Per il resto la nostra sarà una corsa contro il tempo, durante la quale saremo condannati ad osservare inermi la vita della nostra controparte umana che prosegue senza di noi.

Un platform di luci e ombre

Come avrete intuito, SCHiM è un platform in cui il nostro principale obiettivo sarà quello di trovare il percorso migliore per raggiungere la nostra meta nello scenario corrente. Questa di solito è rappresentata da un’ombra specifica [differente esteticamente dalle altre, ma non sempre così facilmente riconoscibile N.d.R.] che fungerà da tramite per portarci verso la nuova area di gioco.

Per spostarci all’interno delle varie zone avremo pochi strumenti, ma decisamente efficaci. Il primo è rappresentato dal salto, il metodo principe con cui transiteremo tra due ombre. Questo può essere dosato in base al tempo di pressione del tasto. Più a lungo terremo premuto il salto, più in là verremo portati. Tenete a mente che il nostro Schim non ama la luce diretta, ma questo non significa che non possa resistere per qualche istante sotto ad essa. Atterrare fuori da un ombra non ci ucciderà all’istante, ma avremo la possibilità di eseguire ancora un piccolo salto (questo non sarà lungo come il primo, ma ci consentirà comunque di tentare di raggiungere la salvezza). Se con il secondo salto giungeremo in un ombra, oppure se un ombra dovesse raggiungerci mentre siamo fermi a terra, saremo salvi e potremo continuare la nostra corsa. Se invece dovessimo dopo questo breve periodo essere ancora allo scoperto, non preoccupatevi, il nostro Schim non svanirà per sempre, ma si ritroverà proiettato nell’ombra checkpoint più vicina [non tutte le ombre infatti rappresentano un checkpoint; non ci è chiaro se esiste un modo per distinguerle, ma sappiate che potrebbero non essere sempre vicinissime a dove siete svaniti N.d.R.].

SCHiM

La nostra seconda abilità riguarda la capacità di interagire con oggetti e persone mentre ci troviamo all’interno della loro ombra. Premendo un tasto infatti saremo in grado di “interferire” con l’oggetto o la persona di turno, facendo eseguire una specifica azione a quest’ultima [l’azione è standard ed è unica per ogni oggetto/persona N.d.R.]. Ad esempio potremo fermare una persona facendola starnutire, suonare il clacson di una macchina o cambiare le luci di un semaforo per far defluire il traffico. Tutte queste azioni, mescolate ai salti e al dinamismo dei vari ambienti, renderanno la nostra esperienza a tratti più simile ad un rompicapo, in cui più che essere rapidi, dovremo essere in grado di scovare il percorso pensando non solo in termini di distanze, ma anche di interazioni con il mondo circostante. Modificare la forma delle ombre, muoverle oppure farsi trasportare da un veicolo o una persone sono solo alcuni degli esempi a cui potremo ricorrere nei nostri spostamenti e, per tale ragione, saremo costretti spesso a sperimentare e provare nuovi approcci, prima di trovare la soluzione corretta.

SCHiM

Un dualismo interessante

SCHiM è uno di quei giochi che, fin dai primi momenti, dimostra in modo chiaro ed inequivocabile di avere un’identità forte ed interessante. Da un punto di vista artistico il gioco è sobrio, ma ben strutturato, e la cura dei dettagli la si vede nel modo in cui il mondo viene rappresentato con poche linee e colori, che però appaiono sempre molto chiari e sufficienti a rappresentare la scena nella sua interezza. I giochi di luce e ombra proiettati dal sole, ma anche da ogni singola sorgente di luce nel gioco, sono ben delineati e riescono ad offrire un colpo d’occhio sempre piacevole, pensate che persino il colore dei led del pad [il nostro gameplay è stato su console PlayStation 5 N.d.R.] rispecchia il colore dominante della scena. Oltre a questo la narrativa silente che ogni sezione offre è ben strutturata e risulta il più delle volte abbastanza chiara ed efficace a descrivere il momento. Tutto sommato SCHiM è un titolo molto ben congeniato che, mettendo assieme tutti i suoi componenti, riesce a creare una formula che in fin dei conti funziona. Purtroppo però, come anche il gioco stesso è raccontato tra luci e ombre, anche la sua struttura ha, a tratti, sporto il fianco ad alcune ingenuità ed imprecisioni.

Alcuni elementi di SCHiM, infatti, ci hanno fatto un po’ storcere il naso e, a tratti, portato il gameplay ad essere decisamente meno gradevole e rilassante del previsto. Tralasciando piccole dimenticanze, come oggetti che non poriettano ombre, o le proiettano talvolta nella direzione errata, i principali problemi che abbiamo rilevato sono legati in particolar modo alla mobilità e, molto più spesso, alla visuale.

SCHiM

In primis i controlli del nostro amichetto ombroso non sono sempre precisissimi e, a volte, il comportamento del nostro alter ego saltellante risulterà abbastanza imprevedibile. Le collisioni con le ombre (complice una visuale a tratti ingannevole con la profondità) non è sempre immediata e ci porterà talvolta a morire senza capire esattamente il perché. Oltre a questo il “secondo salto”, disponibile dopo essere atterrati fuori da un ombra, non sarà sempre disponibile, ed anche in questi casi non sarà sempre chiaro perché ciò accada. Oltre a ciò la disposizione dei checkpoint lungo i livelli non è sempre chiara e, spesso, è anche messa in modo abbastanza arbitrario riportandoci indietro anche di diversi salti. Anche la visione del nostro obiettivo (tasto R2 su PlayStation) è a tratti poco chiara, essendo posizionata magari solo vicino alla nostra meta, ma senza che quest’ultima sia sempre evidenziata in modo efficiente.

Per concludere, sarà possibile in ogni momento ruotare e muovere la visuale per rendere più semplice l’individuazione dei percorsi da seguire, questi movimenti però non tengono conto del mondo circostante e, purtroppo, spesso porteranno il nostro punto di vista ad essere completamente bloccato da edifici o strutture poste attorno a noi.

SCHiM

Conclusioni

SCHiM è sicuramente un gioco che nasce da un’idea interessante, e che sfrutta in modo intelligente molte meccaniche di gioco, facendo leva sulla creatività e malleabilità del giocatore. Purtroppo, essendo un titolo a basso budget, soffre di alcuni difetti ed imperfezioni che rendono il gameplay decisamente più spigoloso e meno godibile di quanto non potrebbe essere. L’art direction, la storia e persino la struttura ad enigmi non sono affatto male, e considerando che si tratta di un gioco che sostanzialmente si fonda su poco più di due azioni, riesce a tenere banco molto bene. Anche una volta finito avrete infatti l’opzione di rigiocare i singoli livelli affrontati, in modo da raccogliere tutti gli oggetti nascosti che potreste esservi persi, completando quindi il titolo al 100%. Come già scritto in precedenza, però, i difetti presenti in questo titolo portano inevitabilmente la godibilità di quest’ultimo verso il basso, motivo per cui ci sentiamo di consigliarlo per lo più agli amanti dei rompicapo con una buona dose di pazienza.

Pongiornissimo, amici della Tribù, e bentornati! Siete pronti per un altro viaggio, in compagnia del sottoscritto, dal sapore… famigliare? Ebbene sì, perché oggi, per la prima volta, mi addentrerò nell’analisi di un titolo di cui avevo già potuto parlare su queste pagine, ovvero Tchia. Sviluppato da Awaceb e pubblicato da Kepler Interactive, infatti, questa colorata e gioiosa avventura è giunta anche, alla fine del mese scorso, su una nuova console. Dopo essere stato apprezzato dai giocatori PlayStation e PC (me compreso), questo titolo indipendente è sbarcato finalmente anche su Nintendo Switch e io ho avuto nuovamente la possibilità di recensirlo grazie a un codice inviatoci dal publisher!
Inutile dire che, nel corso di questo pezzo, mi concentrò perlopiù su aspetti che riguardano la versione per console Nintendo, ma non mancherò di aggiungere qualche precisazione, nel caso ce ne fosse bisogno, a livello più generale. Messi in chiaro i suddetti dettagli, vi lascio ora a questo piacevole ritorno, buona lettura!

Capitolo 1: Ritorno a casa

Come avevamo avuto modo di vedere nella recensione uscita a maggio, Tchia è un’avventura dinamica dal ritmo estremamente rilassato e vario, che pone il giocatore in un grande arcipelago ricco di attività pronte per essere affrontate alla velocità [anche se sarebbe meglio dire “con la tranquillità” N.d.R.] che più si desidera e tante piccole scoperte disseminate un po’ ovunque. Anche nella versione per Nintendo Switch, la filosofia alla base del gioco non viene meno: i giocatori si sentono quindi, dopo le prime battute di gioco, lasciati con la più piena libertà di vivere il loro personale viaggio di crescita in compagnia della protagonista dodicenne che dà il nome al titolo. Scalando, nuotando e servendosi del potere che le dà la possibilità di controllare gli oggetti e gli animali che la circondano, Tchia deve infatti fare di tutto per ritrovare suo padre, rapito da individui misteriosi legati al passato, a sua volta misterioso, della giovane.

Il titolo non racconta una storia imprevedibile, né eccessivamente longeva, ma abbiamo avuto modo di confrontarci [motivo per cui bisognerebbe sempre dare una “seconda lettura” a prodotti che si crede di conoscere a fondo N.d.R.] con alcuni dettagli e prefigurazioni presenti nel corso della narrazione, impossibili da notare durante la nostra prima partita. Ciò ci ha fatto apprezzare ancora di più l’intreccio della storia presentata dai ragazzi di Awaceb, che ha in primis continuato a emozionarci, rendendoci poi anche abbastanza desiderosi di un possibile seguito…
A ogni modo, dunque, tutto quello che ci si potrebbe aspettare da questo titolo è presente anche nella versione per Nintendo Switch. Il gameplay vario, accompagnato da un comparto sonoro sublime e una direzione artistica molto caratteristica, riesce a catturare il giocatore. Pad alla mano, esplorare questo colorato open world ci è parso ancora una volta divertentissimo!

Capitolo 2: Nella pancia

Addentrandoci nel vivo dei dettagli più tecnici, abbiamo avuto modo di vedere come Tchia, malgrado Switch abbia ormai la sua età come console [la mia oltretutto appartiene alla primissima linea di prodotti, non all’aggiornamento avvenuto nel 2019 N.d.R.], si sia comportato piuttosto bene. Al netto sicuramente di qualche compromesso tecnico, il gioco non ci ha dato nessun tipo di problema nel corso delle nostre ore di gioco, mostrando semplicemente dei tempi di caricamento leggermente maggiori e qualche rallentamento sporadico al raggiungimento di aree con diversi elementi a schermo. Insomma, queste sono cose a cui nemmeno gli stessi giochi Nintendo a volte sono del tutto immuni. Va inoltre fatto notare come il gioco mantenga i 30 FPS in modalità TV, prestazione che lo accomuna a tutte le altre piattaforme (a esclusione solo di PlayStation 5), e dà anche su Switch accesso a una vasta gamma di opzioni per personalizzare la propria avventura. 

Sul lato tecnico a subire un po’ di più il colpo è probabilmente il comparto grafico, dato che [dettaglio saltatomi all’occhio più facilmente proprio perché ho avuto modo di giocare su PC N.d.R.] Switch ha bisogno di quel momentino in più per renderizzare al meglio i filmati di gioco. Ciò che porta il titolo a tentennare maggiormente è poi la modalità portatile, che resta di sicuro un valore aggiunto della console, ma mette un po’ più alla prova Tchia a livello visivo. Anche in questo caso non si sta parlando di qualcosa che rende il titolo ingiocabile, ma possiamo tranquillamente consigliarvi di godere di questa colorata avventura in modalità TV.
A conti fatti, però, considerando quanto il mondo di gioco sia ampio e ricco, possiamo comunque dire che pensavamo che la console di casa Nintendo avrebbe avuto qualche difficoltà in più, invece ci ha sorpresi in positivo. Il tempo che gli sviluppatori si sono presi per ottimizzare il gioco è stato ben speso!

Conclusioni: Il fiore di tiaré

Siamo quindi già giunti sul finale di questa seconda analisi di Tchia e non possiamo far altro che ripeterci: tutto quello che ci aveva fatto apprezzare il gioco è ancora qui, poiché il cuore di questo titolo batte sempre forte! L’arrivo dell’appassionato lavoro di Awaceb sulla console ammiraglia di Nintendo può essere considerato la chiusura di un cerchio vero e proprio. Come avevamo già potuto sottolineare, questa avventura pullula di meccaniche e scelte di design che si rifanno in modo non troppo velato ad alcuni dei giochi di punta della casa di Kyoto, ultimi capitoli di due delle saghe più longeve e apprezzate del panorama videoludico, sia Nintendo che a tutto tondo. Sapere che ancora più persone potranno avere la possibilità di esplorare questa fantastica versione della Nuova Caledonia ci riempie il cuore di gioia.
Grazie a Tchia avrete tra le mani un gioco apprezzato già da molti che, siamo sicuri, vi saprà facilmente parlare se vorrete ascoltare. Svariate ore di sano divertimento vi attendono… e noi non possiamo che dirvi “oléti” per essere stati con noi anche quest’oggi. Alla prossima!

Ben ritrovati ragazzi in questa nuova recensione! Oggi vi parlerò di The Last Alchemist. Come ricorderete questo titolo era stato visto e provato alla scorsa Gamescom dalla vostra Imperatrice Silvia [qui potete trovare il suo provato N.d.R.], infatti in redazione vige questa legge che chi per qualche motivo fa un’anteprima, un provato o un hands-off del titolo in questione ha diritto di prelazione sulla recensione. Questo perché avendo visto già il titolo, avendolo provato e avendo (forse) parlato con gli sviluppatori lo conosce meglio e può valutarlo con ancora più cognizione di causa. Ora però vi chiederete: "Perché allora sto leggendo la tua recensione!?" Perché la vostra imperatrice ha avuto dei “contrattempi” a lavoro e, visto che al destino piace accanirsi su di me, dopo la marea di recensioni che ho avuto negli ultimi 4/5 mesi [soprattutto negli ultimi 2 N.d.R.], perché non farne un'altra? E quindi eccovi qui la mia recensione di The Last Alchemist.

The Last Alchemist è un simulatore di alchimia in terza persona sviluppato da Vile Monarch e pubblicato da Marvelous Europe. In un mondo fantastico, pieno di meraviglie e funghi, vestirete i panni di un alchimista, impegnato a perseguire scoperte scientifiche e a stringere amicizie. Le cose però sono un po' più complicate, perché voi e il vostro villaggio siete stati colpiti da una pestilenza e l'unico altro alchimista, il vostro mentore, è morto qualche tempo fa. Essendo l'ultima persona viva ancora in grado di praticare l'alchimia, dovete trovare la cura per la malattia prima che sia troppo tardi.

Partiamo subito con una piccola critica, abbiamo sempre avuto problemi con questo tipo di storie in cui il protagonista sta morendo, ma tu hai tutto il tempo del mondo. Questo spiega alcune limitazioni (come il divieto di saltare), crea una forza trainante per portare avanti la storia, ma forzare un limite di tempo è dannoso per l'esperienza [vedi alcuni Dead Rising N.d.R.]; questo inevitabilmente, purtroppo, crea una gigantesca dissonanza nella testa dei giocatori, perché la storia vuole mettervi fretta, ma il gameplay vi incoraggia a prendervi il vostro tempo. Detto questo, il racconto presentato va benissimo, perché ci sono piaciuti i personaggi e i dialoghi, però siamo dell’idea che gli sviluppatori avrebbero potuto lavorare meglio in preproduzione sui pilastri [pillars N.d.R.] del gioco.

Il mondo in sé, tuttavia, è davvero bello e i modelli dei personaggi sono ben dettagliati, con bellissimi panorami da vedere, varie risorse da raccogliere e ostacoli da superare. Il mondo non è troppo grande, ma va bene così, perché c'è molto da scoprire solo grazie al design del territorio e ai pensieri dell'Alchimista. Inoltre, per essere un ragazzo con una protesi alla gamba e un bastone da passeggio, è sorprendentemente veloce quando non ha uno strumento tra le mani. Detto questo, dovrete uscire regolarmente per trovare ingredienti e materiali, senza viaggi veloci o mappe che vi aiutino a ridurre i tempi. A volte avrete l’impressione di troppa ripetitività, ma sbloccare nuove aree e trovare nuovi oggetti da raccogliere è emozionante. Non si tratta solo di nuove ricette di crafting e di mobili, ma anche di sbloccare nuove risposte a enigmi e farvi addentrare nella storia del mondo di gioco. Solo addentrare però, purtroppo.

Non c'è problema che non possa essere risolto con l'alchimia, dall'estrazione di rocce o l'eliminazione di blocchi ai passaggi tramite uno spruzzatore o semplicemente il trovare un altro pezzo per una ricetta di crafting. Utilizzando l'Essenza estratta da vari oggetti raccolti nel mondo esterno, è possibile creare nuove Essenze con determinate proprietà necessarie per il crafting e la progressione. Tuttavia, ottenere ciò che si desidera non sarà facile: bisognerà trovare la giusta combinazione di Essenze per ricavare ciò che si vuole. Dovrete anche ricercare queste combinazioni per ottenere le forme giuste; sarà un rompicapo che dovrete risolvere quotidianamente. Avremmo preferito un modo per visualizzare e capire di cosa si ha bisogno, come una griglia per abbinare le Essenze e simili, ma una volta capito di cosa si necessita, ci si sente gratificati. È come fare ogni volta una nuova scoperta: bisogna fermarsi a riflettere, altrimenti si rischia di creare la cosa sbagliata e di sprecare gli ingredienti, ma il momento "eureka" in cui ci si rende conto di avere esattamente ciò di cui si ha bisogno fa sì che tutto quel tempo ne sia valsa la pena.

Un altro neo però è che i menu potrebbero essere migliori e meno dispersivi. A causa di tutti gli esperimenti e i tipi di Essenze, avrete una marea di cose da scorrere. Con così tante forme e colori diversi, i nostri occhi e cervello hanno cominciato a essere sovrastati mentre cercavamo di trovare quella che volevamo. Tuttavia, una volta scoperto come creare una proprietà dell'Essenza, il gioco elencherà almeno la combinazione funzionante, in modo da non doverla ricordare da soli o scorrere il menu. È anche possibile appuntare le formule su una lavagna, in modo da velocizzare il processo di creazione. Lo stesso vale per la creazione di mobili, che possono rendere il laboratorio più accogliente o fornire più spazio per riporre i propri oggetti e simili, anche se può essere noioso e persino un po' scomodo, soprattutto quando si trascinano le formule dai menu alle varie stazioni di crafting.

A livello di prestazioni giocando con impostazioni grafiche elevate, non abbiamo avuto alcun problema e lo abbiamo provato su due configurazioni diverse: la prima era un portatile con una RTX 2080, un processore i7-950 e 16 GB di RAM, mentre la seconda un PC fisso con una RTX 3080Ti, un processore AMD Ryzen 9 5900x e 16 GB di RAM. Con entrambe le configurazioni abbiamo avuto un frame rate costante di 60 per la maggior parte del tempo di gioco con qualche piccolo e sporadico caso di drop a 50/55. Anche i tempi di caricamento non sono stati un grosso problema, richiedendo solo un minuto per caricare un file di salvataggio.

Per quanto riguarda la telecamera dobbiamo muovere un’altra critica: non ci è piaciuta, perché la distanza e l'altezza ci hanno sempre destabilizzato, dandoci una strana sensazione di disagio [niente di invalidante o ingiocabile, ma dopo diverse ore sentivo un fastidio come di essermi perso sempre qualcosa, e questa è una sensazione prettamente personale N.d.R.], quindi si sarebbe potuto fare un po' meglio. Ciò ha reso l'esplorazione un po' meno gradevole, ma ciò che l'ha resa ancora meno piacevole è stato il numero di oggetti che bisogna preparare e portare con sé quando si esce. Ci sono tantissime risorse diverse che necessitano di proprietà specifiche dell'Essenza per essere raccolte o coltivate, e con lo spruzzatore in grado di contenere solo un'Essenza alla volta è necessario produrne costantemente altre, il che significa correre di più in giro a raccogliere oggetti per poterne ottenere di nuovi. Inoltre, una volta che l'Essenza è al suo interno, non è possibile toglierla. Bisogna sostituire l'Essenza o consumarla tutta. Se si inserisce un'Essenza importante, si rischia di perdere accidentalmente parte dei propri progressi, senza la possibilità di correggerla, se non di mischiarne un'altra. Infine, alcune missioni affidate dai PNG vengono assegnate troppo presto, prima che abbiate i mezzi o i materiali necessari per completarle. Ci stavamo alterando parecchio di capire come alchimizzare il lubrificante o se fossimo incappati in un bug, finché non ci siamo fermati a controllare e abbiamo capito che per produrlo avevamo bisogno di un macchinario che non avevamo ancora sbloccato [quindi altra tiratina d’orecchie ai designer che non hanno controllato bene la progressione di gioco con l’assegnazione delle missioni primarie/secondarie N.d.R].

Per quanto ci siano critiche oggettive e piccoli problemi, ci siamo divertiti con The Last Alchemist, e il gioco vi impegnerà a raccogliere tanti oggetti ogni giorno. Avrete costantemente bisogno di Essenze con le proprietà giuste per progredire e il ciclo di gioco può essere un po' noioso. Tuttavia, quando si lavora con il cervello e si scopre il modo per creare soluzioni, può valere la pena fare lo sforzo. The Last Alchemist è un gioco divertente, è rilassante e intimo, ma vi farà anche scervellare e sperimentare per trovare soluzioni. A volte può sembrare un lavoro faticoso, ma lo sforzo e il tempo impiegato vengono sempre ripagati.

Pongiornissimo, ragazzi della Tribù! Bentrovati nuovamente sulle nostre pagine per una bella recensione in compagnia del sottoscritto, dove oggi si tornerà a parlare di un titolo per Nintendo Switch. Come ormai saprete, il mio cuoricino batte forte per la Grande N, quindi ricevere proprio da questa azienda un codice da recensire è sempre un grande piacere. Oltretutto, il compito non sarebbe dovuto nemmeno toccare a me a questo giro, ma il destino ha voluto rimescolare le carte… Insomma, una fortuna di cui non mi posso certo lamentare!
Eccoci dunque qua a parlare dell’ultimo remake giunto sulla console ammiraglia di Nintendo, dedicato a un apprezzatissimo titolo dell’era GameCube, ovvero Paper Mario: Il portale millenario. Come si sarà comportata questa nuova versione di uno dei più iconici giochi di ruolo con protagonista l’idraulico baffuto più famoso del mondo? Beh, continuate a leggerlo per scoprirlo, perché ora chiudiamo questa introduzione… e battiamo il GOOONG!!!

Capitolo 1: Benvenuti a Fannullopoli

Paper Mario: Il Portale Millenario [e attenzione alle maiuscole, perché il titolo originale non le aveva mica N.d.R.] è il remake del secondo gioco della saga di Paper Mario, che attualmente conta sei capitoli principali. Sviluppata, sin dal primo episodio, da Intelligent Systems, questa serie pone Mario e soci in un contesto piuttosto particolare, dove gli ambienti e gli stessi personaggi sono fatti interamente di carta, col saggio utilizzo della “sottigliezza” di questo materiale che la fa da padrone.
Il portale millenario, rilasciato nel 2004, fu un grande successo di critica e di pubblico e, ancora oggi, viene ricordato come uno dei titoli per GameCube più apprezzati. Non per niente a essere selezionato per una riedizione che lo andasse a glorificare e migliorare è stato proprio lui, invece di altri capitoli (come il primo, per esempio). E infatti, proprio come successo per il recente ritorno di Super Mario RPG, Nintendo ha deciso di dare nuova vita a questo titolo, portandolo su Switch con una veste totalmente rinnovata e ricostruita, senza volerne però intaccare l'iconica aura. Partendo da questo presupposto, il remake fa un ottimo lavoro, ma andiamo per ordine, partendo dalla trama del gioco.

La Principessa Peach, durante una visita nella città di Fannullopoli [un nome, un programma N.d.R.], è stata rapita e tocca a Mario il compito di partire per salvarla, anche questa volta. Ad aver preso la bionda dama non è stato il solito Bowser, bensì un gruppo di misteriosi individui alla ricerca di artefatti magici noti come Gemme Stella. Tramite di esse, costoro vogliono aprire il leggendario Portale Millenario… e conquistare così il mondo intero. Grazie alla mappa in grado di localizzare le pietre, Mario avrà però la possibilità di precederli e, accompagnato da un cast di improbabili alleati, salvare la situazione nel corso di una rocambolesca missione…
Gli spin-off di Mario hanno abituato il pubblico a un lato narrativo decisamente marcato (rispetto ai platform) e Paper Mario: Il portale millenario non è affatto da meno, ma è anzi un esempio eccellente di questa categoria. Quella che sembra una “classica” avventura per salvare Peach si rivela infatti sin da subito un viaggio surreale in un mondo colorato, pieno di personaggi sopra le righe, dialoghi folli e momenti anche emozionanti. Per quanto ci piacerebbe approfondire maggiormente l’intreccio, possiamo solo assicurarvi che ci sarà da divertirsi!

Capitolo 2: Forza, campione!

Così come per la saga di Mario & Luigi, l’aspetto più interessante dei primi due Paper Mario è il fatto che il cuore del loro gameplay è quello tipico di un GDR con combattimento a turni [il che unisce le due serie al già citato comune antenato Super Mario RPG N.d.R.]. L’avventura di Mario si svolge in aree più o meno grandi dove, oltre a esplorare e scoprire segreti, si può ingaggiare battaglia con varie tipologie di nemici, guadagnando denaro ed esperienza. Con tanto di level-up che potenziano statistiche (poche, ma buone), effetti di stato e gli immancabili alleati in grado di usare tecniche uniche, Il portale millenario portava in scena ciò che il primo capitolo aveva già fatto, espandendolo però ampiamente.
Uno spin-off di Mario non sarebbe tale senza qualcosa di piccante e unico, ed ecco quindi che entrano in scena i comandi d'azione! Nel corso degli scontri, infatti, ogni tecnica usato dai personaggi richiederà di eseguire un’azione, lasciando mai il giocatore senza qualcosa da fare. Dal ruotare una levetta fino al premere prontamente un tasto, il titolo spinge a imparare tempistiche particolari per ogni evenienza, potenziando ciò che facciamo quando si esegue la corretta azione, sia in attacco che in difesa.

Tutto ciò che abbiamo già descritto permetterebbe a questo Paper Mario di distanziarsi da molti altri titoli, ma le sorprese non finiscono qui! Oltre all’interessante [e molto più profondo di quanto sembri N.d.R.] sistema delle tessere, ovvero punti assegnabili a una vasta gamma di abilità passive e attive che permettono di creare configurazioni di ogni genere, fornendo ai giocatori un’incredibile varietà di approccio agli scontri, con ogni capitolo della sua storia il titolo cambia in modo più o meno marcato il suo loop di gioco. Così facendo, più che una singola grossa avventura, sembra di affrontare tante mini storie differenti, tra archi narrativi che prediligono il combattimento a quelli che invece puntano di più sulla risoluzione di puzzle ambientali.
Oltre a tutto quello che abbiamo già descritto, ci sono da considerare le aggiunte fatte nel remake. Infatti, Il Portale Millenario ha dalla sua un migliorato sistema di viaggio rapido, che riduce il dover scarpinare quando si hanno missioni da svolgere o segreti da recuperare in luoghi già visitati, dei tutorial opzionali, un inventario espanso e anche un potenziato sistema di indizi, ottimi per orientarsi all’interno della propria avventura.

Capitolo 3: Per chi suona la campana

Se vi sembra che, a livello di gameplay e storia, questo remake di Paper Mario abbia poco o niente da offrire a chi ha già familiarità col gioco originale, stiamo ora però per addentrarci nella sezione in cui maggiormente si potranno sottolineare le differenze tra le due edizioni del gioco.
Partiamo dal reparto che più ci ha preso alla sprovvista e, mano a mano che proseguivamo nella nostra partita, indicava la cura marcata e lampante da parte di Intelligent Systems nella realizzazione di questo progetto, il sonoro. Elencare la quantità di tracce audio de Il Portale Millenario è piuttosto difficile, soprattutto se si va a considerare che non si sta parlando solo di una semplice [facciamo passare il termine N.d.R.] serie di riarrangiamenti delle musiche presenti nell’originale, ma di una grande quantità di canzoni nuove presenti nella quasi totalità delle aree del gioco. Ogni zona della mappa, infatti, è caratterizzata da remix e versioni inedite delle musiche, che di rimando donano ulteriore personalità alle suddette. Se a tutto questo aggiungiamo il grande lavoro fatto per donare a ogni personaggio una “parlata” con versi differenti (dato che non si sta parlando di doppiaggio), il tutto si eleva ancora di più!

Paper Mario: Il Portale Millenario si difende poi egregiamente anche nel comparto visivo e sotto tutto ciò che riguarda la direzione artistica. Riprendendo lo stile dell’originale, gli sviluppatori hanno ricreato un mondo cartaceo che, in un certo senso, riesce davvero a dare “un peso” a ciò che mette in scena, pur trattandosi di elementi fatti principalmente di fogli o derivati, appunto. Giochi di prospettiva saggiamente usati, tra pieghe e colori, ritornano più deliziosi che mai e si mescolano cogli elementi surreali della storia. E le battaglie a turni, in particolare, ora come non mai sono rese come un’opera teatrale, dei momenti di tensione tratti da una grande favola raccontata in una recita popolata da pupazzi di carta [tutto può succedere… ma lo spettacolo deve continuare N.d.R.].
A chiudere il trittico troviamo poi un comparto tecnico granitico che, nel corso di tutte le ore di gioco, non ha mai dato segni di cedimento, né tantomeno ha mostrato glitch o bug. Il gioco gira a 30 FPS, mentre la sua controparte per GameCube viaggiava a 60, ma diamo per scontato che questo sia stato il compromesso necessario dato l’hardware di Switch (e la sua portabilità), quindi ci riteniamo comunque soddisfatti.

Conclusioni: Le Gemme Stella e il Tesoro Leggendario

Vi starete giustamente chiedendo, ora che siamo giunti alla fine della recensione: ma quindi quali sono i lati negativi o i punti a sfavore di questo Paper Mario: Il Portale Millenario? E a ciò possiamo rispondere in un solo modo, ovvero con un sincero “poco o niente”. Il gioco di cui ci accingiamo a tirare le somme aveva dalla sua una base eccellente da cui partire, ma, a conti fatti, non ha per nulla deluso le aspettative di chi lo attendeva con tanta trepidazione (e forse un po’ di preoccupazione). Sul lato gameplay non solo si sta parlando di un titolo che, anche senza alcuna modifica, risulterebbe fuori dagli schemi e fresco senza problemi, eppure ci sono anche da considerare le varie aggiunte alla qualità della vita fatte dagli sviluppatori. Che siate dei neofiti o dei veterani, vi godrete le svariate ore che il titolo può offrire con piacere, rimanendo anche stupiti per qualche piccola sorpresa e potendovi godere sezioni in cui ascoltare le tracce audio e vedere i bozzetti del gioco.
Acquistando questo gioco vi ritroverete tra le mani una versione più colorata, più carismatica e, all’atto pratico, migliore rispetto al titolo uscito vent'anni fa su GC, senza rinunciare a nulla di ciò che lo aveva reso celebre ai tempi. Alcuni potrebbero dire che le aggiunte sostanziali siano poche, ma pensiamo che a volte non si debba alterare ciò che si ha tanto per, e sicuramente chi ha curato questa riedizione de Il portale millenario sapeva cosa andava fatto per non snaturare la natura di questa bislacca e iconica favola di carta. Il risultato è… “il remake ideale dalla realizzazione eccezionale” (semicit.)!

P.S.: Sono alla mia seconda recensione di un titolo di IS e ai miei secondi ringraziamenti speciali (senza contare la coincidenza del voto), deve essere un segno… a ogni modo, chi sa sa, e lo ringrazio tantissimo per il supporto!

Ragazzi eccoci con il secondo prodotto di Creative, le Aurvana Ace 2. Altra coppia di auricolari/cuffie True Wireless questa volta di fascia alta. Andiamo a vedere come si sono comportate e state sintonizzati nei prossimi giorni perché potrebbero esserci delle novità di un certo rilievo in arrivo... nel frattempo, buona lettura!

Le Creative Aurvana Ace 2 sono uno dei primi auricolari al mondo con un sistema a doppio driver dotato di altoparlanti xMEMS. Promettono una migliore qualità del suono e la più recente connettività Bluetooth 5.3 LE Audio. Questo ha attirato la nostra attenzione e li abbiamo sottoposti al nostro protocollo di test intensivo [infatti le stiamo testando dai primi giorni di giugno N.d.R.].

La prima cosa che si nota delle Creative Aurvana Ace 2 è il suo design straordinario. La custodia di ricarica è in plastica nera semitrasparente. Aprendola si scopre l'interno color rame altamente riflettente. Al momento, questa è l'unica opzione di colore disponibile, quindi se volete qualcosa di più discreto, siete sfortunati. Sebbene la struttura in plastica non sia eccessivamente lussuosa, è resistente. Gli auricolari sono resistenti all'acqua con certificazione IPX5, il che significa che possono sopportare il sudore e gli schizzi d'acqua sotto la pioggia. Con soli 4,7g ciascuno, gli auricolari sono davvero leggeri. La confezione contiene solo tre misure di auricolari, ma non ho avuto problemi di comfort con quelli montati di base durante l'utilizzo degli Aurvana Ace 2. La forma, la vestibilità e il peso degli auricolari sono molto simili a quelli degli AirPods Pro 2 di Apple. Se avete provato questi auricolari e vi è piaciuta la sensazione che danno, avrete un'ottima vestibilità anche con gli Aurvana Ace 2.

È possibile controllare le Creative Aurvana Ace 2 toccando la parte esterna di uno dei due auricolari. Gli auricolari non sono dotati di un sensore che rileva quando sono inseriti nell'orecchio, quindi, a differenza della maggior parte degli auricolari premium, non si mettono automaticamente in pausa quando li si toglie dalle orecchie, dobbiamo dire che come sulle Zen Air Plus i controlli touch sono abbastanza rivedibili e ci sarebbe piaciuto trovare anche il sensore di rilevamento dell’inserimento nell’orecchio, magari pagandole anche qualcosa in più visto che il rapporto qualità prezzo è sempre ottimo e imbattibile nei prodotti Creative.

Per quanto riguarda le app di accompagnamento delle cuffie, l'app Creative per Aurvana Ace 2 è piuttosto semplice. Tuttavia, è importante utilizzare l'app per installare gli ultimi aggiornamenti del firmware degli auricolari. L'altro vantaggio principale dell'applicazione è l'equalizzatore parametrico, che consente di personalizzare la risposta in frequenza delle Aurvana Ace 2.

È possibile passare dalla modalità di cancellazione attiva del rumore (ANC) a quella ambientale dall'interno dell'app, ma è possibile farlo anche dai controlli touch degli auricolari. Nelle impostazioni dell'app si trova una levetta per attivare la modalità a bassa latenza. Questa modalità riduce la latenza tra il dispositivo e gli auricolari a scapito leggermente della qualità purtroppo [ma niente di grave N.d.R.] e aiuta a sincronizzare l'audio con i contenuti video.

Grazie alla tecnologia Bluetooth più recente e avanzata, le Creative Aurvana Ace 2 sono in grado di riprodurre l'audio in streaming a una qualità superiore rispetto alla maggior parte degli auricolari. Sono dotati di Bluetooth 5.3 con supporto per LC3 e LE. Con Snapdragon Sound, gli auricolari supportano aptX Lossless. Oltre a supportare velocità di trasferimento dati più elevate, l'inclusione di tutti questi codec contribuisce a rendere l'Aurvana Ace 2 a prova di futuro. L'elenco dei codec Bluetooth di Aurvana Ace 2 è completato dai più comuni aptX Adaptive, AAC e SBC.  Il supporto Bluetooth multipoint consente di associare gli auricolari al telefono e al computer portatile contemporaneamente e di passare rapidamente dall'ascolto dell'audio tra i due dispositivi.

Non sono certo i migliori auricolari per la cancellazione del rumore, ma svolgono comunque un buonissimo lavoro di controllo del rumore ambientale, a patto di ottenere una buona tenuta dagli auricolari. Il rumore ad alta frequenza viene ridotto grazie all'isolamento passivo e le Aurvana Ace 2 utilizzano il sistema Qualcomm Adaptive ANC per un'ulteriore riduzione del rumore. La parte "adattiva" significa che aumenta o diminuisce la quantità di cancellazione del rumore a seconda del livello di rumore ambientale.

Le Creative Aurvana Ace 2 offrono 30 dB di attenuazione ANC a 100 Hz. La maggior parte dei rumori a bassa frequenza suonerà un quarto o un ottavo più forte quando l'ANC è abilitato rispetto a quando non è abilitato. L'ANC è anche efficace nell'attenuare le frequenze medie tra 1-2 kHz, contribuendo a ridurre il rumore delle persone che parlano intorno a voi. Ascoltare la musica con questi auricolari è stata un'esperienza molto piacevole. Ho sempre scelto gli auricolari wireless durante i miei spostamenti quotidiani per la loro comodità, nonostante il tipico sacrificio della qualità del suono. Con i progressi della tecnologia MEMS e della connettività di Creative Aurvana Ace 2, sembra finalmente che ci stiamo avvicinando a un futuro in cui è possibile ottenere una portabilità e una qualità del suono eccezionali allo stesso tempo.

Le prestazioni ad alta frequenza del driver a stato solido xMEMS Cowell si sono distinte in particolare su un paio di brani. Ascoltando Carry on Wayward Son dei Kansass e Herald of Darkness degli Old Gods of Asgard, la voce e la chitarra suonano eccezionalmente dettagliate e chiare rispetto alla maggior parte degli altri auricolari wireless. L'Aurvana Ace 2 offre un senso di dettaglio e di immersione che in precedenza avevo sperimentato solo con cuffie da studio grandi e più costose. Mentre la risposta in frequenza delle Creative Aurvana Ace 2 segue fedelmente la nostra curva di preferenza per quanto riguarda i medi e gli alti, si allontana per quanto riguarda le basse frequenze. A partire da 300Hz, si nota un significativo aumento dei bassi. In realtà, l'entità di questo aumento dei bassi varia in modo significativo a seconda dell'adattamento degli auricolari alle orecchie. Se gli auricolari risultano troppo bassi, è possibile attenuare le basse frequenze utilizzando l'equalizzatore dell'applicazione.

Con sei microfoni e la tecnologia di cancellazione del rumore Qualcomm cVc, le Creative Aurvana Ace 2 sono in grado di rispondere alle chiamate in movimento e anche se la qualità dell'audio non è eccezionale, si può essere certi che gli auricolari non sono responsabili se la persona all'altro capo del filo non vi capisce. Con i driver e le tecnologie di connettività più recenti e avanzate, ci si potrebbe aspettare che i Creative Aurvana Ace 2 costino centinaia di euro. Tuttavia, questi auricolari costano solo 130 euro [al momento sono in sconto e c’è un ulteriore sconto del 10% con il codice di giugno valido fino al 30 N.d.R.], circa la metà del prezzo della maggior parte degli auricolari wireless di punta.

Detto questo, molti di questi auricolari di punta hanno caratteristiche che le Creative Aurvana Ace 2 tralascia, come le funzioni audio spaziali integrate, la durata estrema e le applicazioni di accompagnamento più complete. Se non vi interessano queste caratteristiche e volete solo degli auricolari che funzionino bene e che abbiano un suono eccellente, dovreste acquistare le Creative Aurvana Ace 2.

Ben ritrovati ragazzi, oggi vi parlerò delle Zen Air Plus. Era da un po’ che non trattavamo prodotti hardware e nella fattispecie di cuffie true wireless, ma soprattutto di Creative! Quindi bando alle ciance e buona lettura.

Dopo averli spacchettati, inizialmente non sono riuscito a estrarre questi auricolari dalla loro custodia di ricarica. Le mie dita non riuscivano a trovare una presa, gli auricolari si incastravano perfettamente nella basetta di ricarica e solo puntando con la punta delle dita sono riuscito a liberarli dalla scatola per iniziare il mio test [ovviamente il problema è mio che ho una mano gigante e complice il fatto che la loro sede è praticamente a filo con la parte più larga dell’auricolare N.d.R.].

Fatto questo, è arrivato il momento di provarle per un ascolto. La vestibilità con i gommini medi in silicone montati in fabbrica era buona e l'accoppiamento con il mio dispositivo mobile ha funzionato immediatamente, però il suono inizialmente era strano. Forse ero solo io, ma un rapido confronto con altri modelli ha confermato questa prima impressione: il suono delle Zen Air Plus rimaneva centrato e "invadente". L'app di Creative però è stata subito di soccorso; questa ha riconosciuto immediatamente gli auricolari e ha fornito una gamma gestibile di funzioni con un equalizzatore e un controllo ambientale [per l'ANC e la modalità ambiente N.d.R.].

Come i loro fratelli maggiori, i Creative Zen Air Pro, questi auricolari economici di Creative sono tecnicamente all'avanguardia. Grazie al Bluetooth 5.3 LE Audio, supportano anche Auracast, che amplia le possibilità di trasmissione audio via Bluetooth con la possibilità di inviare contenuti audio da una singola sorgente a un numero illimitato di destinatari contemporaneamente. In pratica, si può pensare a una sorta di hotspot WLAN. Creative la chiama "modalità broadcast". A causa della mancanza di hardware compatibile, non abbiamo potuto analizzare questa funzione per questa recensione. È presente anche una "modalità unicast". Grazie al codec LC3 ad alta risoluzione, le Creative Zen Air Plus possono essere collegate in modalità wireless a un ricevitore audio Bluetooth LE compatibile, consentendo di utilizzare lo streaming audio ad alta risoluzione attraverso un'unica connessione.

Un'occhiata all'equalizzatore ha mostrato che l'impostazione di fabbrica "Default" era ben lontana da una riproduzione lineare. Pertanto, questo profilo sonoro deve essere intenzionale e sembra essere interessante per una certa clientela. Dopo aver sperimentato le 60 preimpostazioni, si arriverà quasi automaticamente all'impostazione più adatta alle proprie esigenze. È anche possibile creare le proprie preimpostazioni in base alle impostazioni dei bassi e degli alti, anche se è necessario familiarizzare con i parametri prima di poter ottenere risultati ottimali.

Dato che ero già all'interno dell'applicazione, ho deciso di ascoltare gli effetti della cancellazione attiva del rumore, che può essere attivata in alternativa alla modalità ambiente e dispone di cinque livelli di impostazione. Tuttavia, è improbabile che si utilizzi effettivamente questa gradazione nella pratica, poiché l'attenuazione crescente dei componenti dei bassi e dei medi tra la soppressione minima e quella massima non era molto efficace, soprattutto perché gli alti non venivano filtrati molto. In realtà sarebbe sufficiente attivare o disattivare l'ANC. La situazione era simile con la modalità ambiente, che sostituisce il circuito ANC e mescola l'ambiente nei diaframmi degli auricolari in cinque fasi. On o off possono essere sufficienti per molti utenti: è improbabile che si scelga specificamente la posizione centrale.

Il controllo ambientale è reso possibile da tre unità microfoniche omnidirezionali per auricolare, utilizzate anche per la telefonia. L'intelligibilità del parlato durante le chiamate è stata giudicata molto buona dalla persona all'altro capo del telefono, anche se, secondo i dati tecnici, la risposta in frequenza era notevolmente limitata in alto e in basso.

L'audio è stato riprodotto con una larghezza di banda massima compresa tra 20 Hz e 20 kHz. Una volta trovata la giusta preimpostazione e dopo aver trascorso un po' di tempo all'ascolto, il suono dello Zen Air Plus diventa molto più piacevole e gradevole: anche se il materiale audio non sembrava così rotondo e ricco. Per il suo segmento di mercato, le Zen Air Plus hanno offerto un suono costantemente buono, anche se l'enfasi è rimasta sui medi.

Questa caratteristica potrebbe rivelarsi un vantaggio per l'uso sportivo o di gioco, mentre i podcast e i contenuti parlati in generale sono sempre stati riprodotti bene, indipendentemente da ciò che accadeva intorno a me. Il suono si è rivelato molto buono anche per l'ascolto di musica in movimento, sebbene non si possa esattamente definire un "bell'ascolto": tutto suonava un po' più terroso, diretto e deciso. È l'ideale per la visione di un video o di un film, ma per l'ascolto di musica audiofila è necessaria una maggiore ariosità.

In conclusione, possiamo dire che con un grado di protezione IPX4, le Creative Zen Air Plus sono adatte all'ascolto di musica o podcast durante la partecipazione a sport indoor e outdoor, durante il viaggio verso il lavoro o per la visione di un video o di un film a casa. Il loro profilo sonoro offre vantaggi per quanto riguarda l'intelligibilità del parlato e l'immediatezza: l'ideale per i contenuti parlati e i giochi, ma offrono anche un'interessante alternativa alle classiche cuffie hi-fi per l'ascolto della musica. Per godere al massimo della musica, ci sono auricolari migliori sul mercato, ma costano molto di più. Per il loro prezzo, le Creative Labs Zen Air Plus hanno guadagnato punti grazie alla lunga durata della batteria, al peso ridotto e alla buona vestibilità, il che significa che sono complessivamente delle ottime cuffie tuttofare.

Ben ritrovati ragazzi in questa nuova recensione: oggi vi parlo di MultiVersus. Dopo parecchie ore giocate l’anno scorso in Alpha, poi in Beta e altrettante al suo rilascio ufficiale, è arrivato il momento di tirare le somme per il brawler picchiaduro sviluppato dai ragazzi di Player First Games e pubblicato da Warner Bros. Interactive Entertainment.

Dopo una lunga Open beta, il picchiaduro a piattaforme free-to-play MultiVersus di Warner Bros. Games è stato ritirato dagli store digitali mentre lo sviluppatore Player First Games lo preparava per il lancio ufficiale. Il gioco è ora disponibile, con numerosi miglioramenti e modifiche che lo rendono un'esperienza molto più completa. Soprattutto, è ancora molto divertente da giocare, offrendo un picchiaduro con combattimenti coinvolgenti e un roster vario con cui confrontarsi. MultiVersus riunisce tutti i franchise più disparati di Warner Bros. in un unico crogiolo multigiocatore. Il cast di personaggi giocabili spazia dai Looney Tunes e Scooby-Doo a Game of Thrones e persino al Gigante di Ferro. L'ampiezza delle IP rappresentate in questo gioco è piuttosto sorprendente; è ancora un po' inquietante vedere Tom & Jerry che picchiano Superman, ma per noi questo fa parte del fascino bizzarro di questo gioco.

Ancora meglio è il modo di giocare di ciascuno dei personaggi. Come ci si aspetterebbe, tutti hanno un proprio set di mosse, ma il gioco si spinge fino a dare ad alcuni personaggi meccaniche di gioco completamente uniche. Finn può raccogliere monete quando colpisce gli avversari e usarle per acquistare rapidi potenziamenti delle statistiche. Gizmo è l'unico personaggio che può attaccarsi agli alleati come uno zaino, offrendo vantaggi a entrambi i giocatori. Bugs Bunny può scavare un tunnel sotterraneo, che gli consente una breve finestra di invulnerabilità. Ci sono molti particolari di combattimento come questo che parlano della personalità di ciascun combattente. Si percepisce che è stata posta molta attenzione nel garantire che siano divertenti da giocare e fedeli ai loro personaggi.

Il combattimento stesso è l'aspetto in cui MultiVersus brilla davvero. La modalità predefinita è 2v2, in quanto il gioco è orientato verso il gioco cooperativo. In effetti, ogni personaggio dispone di mosse che avvantaggiano il compagno di squadra, ed è proprio l'interazione che aiuta questo picchiaduro a distinguersi dagli altri. Per sfruttare al meglio questo aspetto, però, potrebbe essere necessario unirsi agli amici, perché secondo la nostra esperienza il gioco online con gli sconosciuti cade quasi sempre nel tipico caos dei picchiaduro a piattaforme [o peggio ancora, abbiamo perso un sacco di partite perché il nostro compagno non era presente e quindi rimaneva fermo a farsi buttare fuori dal ring N.d.R.].

Tuttavia, le meccaniche di gioco sono davvero solide. Si tratta di un gioco di combattimento reattivo, simile a Super Smash Bros., facile da giocare e difficile da padroneggiare, ma con una certa profondità per i giocatori più seri. Il netcode Rollback è stato implementato e, a parte qualche problema di avvio al lancio, non abbiamo avuto alcun problema di lag o disconnessioni impreviste.

Oltre alle modalità competitive [che includono anche 1v1 e multiplayer locale N.d.R.], la modalità Rifts è un nuovo modo di giocare in solitaria. Offre campagne a tema composte da partite contro avversari specifici e minigiochi, come distruggere obiettivi o difendere un cristallo dai droni. Aggiunge al titolo un livello extra di cui si sentiva il bisogno, mescolando la solita azione con speciali modificatori di gioco, gemme sbloccabili che migliorano i personaggi e ricompense giornaliere da guadagnare.

Una grande preoccupazione per i giochi free-to-play è il modo in cui si monetizzano. Questa nuova versione di MultiVersus sembra decisamente migliorata da questo punto di vista, anche se la progressione attraverso il Battle Pass e altre parti del gioco può risultare ancora lenta. La buona notizia è che il Battle Pass premium ora assegna abbastanza Gleamium [la valuta acquistabile del gioco N.d.R.] per ottenere la stagione successiva, se la si completa. Lungo questo percorso si trovano ricompense generalmente più interessanti, con un'enfasi sulle nuove skin, sulle taunt, sulle animazioni di uscita e sulle varie valute del gioco. Il tutto risulta più equo e trasparente rispetto al passato, anche se piuttosto grindoso.

Sebbene il gioco di base funzioni molto bene, ciò che lo delude è una presentazione relativamente approssimativa. La grafica e il sonoro sono generalmente ottimi, ma i menu e la navigazione sono piuttosto confusi in alcuni punti, e altre asperità tolgono lucentezza qua e là. Alcune sequenze cinematografiche conferiscono al gioco un'atmosfera di qualità superiore, ma i dialoghi insignificanti della modalità Rifts e alcune transizioni un po' spezzettate impediscono a questa sensazione di rimanere inalterata.

In conclusione, possiamo dire che nonostante questi difetti, MultiVersus sembra esser un gioco solido e soprattutto arrivato per restare. Se riuscirà a mantenere un programma costante di nuove mappe, chicche stagionali e combattenti giocabili [come il trio della Stagione 1 composto da Banana Guard, Joker e Jason Voorhees, a cui seguirà l'Agente Smith N.d.R.], ha tutte le possibilità di rimanere un'alternativa popolare al picchiaduro all-star di Nintendo, che non potrà che migliorare nel tempo.

Il codice ci è stato fornito dal publisher per PS5.

La Formula 1 è uno sport che nel corso degli ultimi anni sta attraversando spesso periodi in cui la rivoluzione è dietro l’angolo. Pochi anni fa c’è stata la novità dell’effetto suolo, mentre nel 2026 toccherà a una delle più grandi rivoluzioni aerodinamiche di sempre, come dimostrato dai primi regolamenti usciti. Dal punto di vista videoludico, invece, i giochi targati EA Sports e Codemasters cercano sempre di rispettare l’incredibile tecnologia presente dietro alle vetture, anche se spesso non ci riescono appieno. Abbiamo trascorso molte ore con il nuovo titolo simulativo ed è arrivato il momento di parlare dei pregi e dei difetti del nuovo F1 24, con particolare attenzione ad alcuni problemi che hanno funestato il titolo sin dal suo rilascio.

Sin dall’annuncio di F1 24 il focus degli sviluppatori è stato quello di replicare la fisica delle auto di Formula 1, adattandola a tutte le tipologie di giocatori, da quelli che conoscono alla perfezione la fisica reale, ai casual che non conoscono il mondo della guida. Dopo aver lavorato a stretto contatto con Max Verstappen, gli sviluppatori hanno definito il nuovo sistema come “il nuovo modello di guida dinamica che ridefinirà le sensazioni di guida, garantendo prestazioni più realistiche e prevedibili con volanti e controller”.
Dai primi giri in pista, però, è sorto un enorme problema e riguarda questo nuovo sistema di “sospensioni attive”. Nei primi giorni numerosi world record sono stati stabiliti grazie alla mancanza di una vera e propria fisica, con una gestione del volante molto arcade e lontana dalla realtà. L’attenzione alla cura che solitamente Codemasters ha avuto nel corso degli anni è venuta a mancare e possiamo definire F1 24 uno dei giochi che ha avuto il lancio peggiore, almeno dal punto di vista dei problemi sul gameplay. Nel corso delle varie prove effettuate nei primi giorni, infatti, il veicolo tendeva a non tener conto della fisica dei cordoli e salire su di essi a circa 300 km/h permetteva una percorrenza vicino alla perfezione, con la possibilità di fare tempi sul giro totalmente irrealistici. Abbiamo iniziato il nostro percorso nel campionato Formula 2, per testare i veicoli di quella categoria, e dopo un primo approccio quasi traumatico abbiamo trovato il giusto metodo di percorrenza, arrivando a dominare alcuni circuiti in pochissimo tempo.

Nei giorni passati, però, Codemasters ha postato un update che ha migliorato la situazione, anche se – al contempo – ne ha peggiorate tante altre, come negli scorsi anni con F1 21 o 22. Ora come ora le vetture hanno un comportamento che tende a cambiare da pista a pista, con alcune che si avvicinano molto alle prestazioni reali, con sottosterzi pesanti in alcune situazioni (vedasi SPA, ad esempio) e avantreni nervosi che si alternano a una perfezione alla guida vicina a quella della Red Bull di Sebastian Vettel, considerata da tutti una delle vetture più semplici da guidare con la sua incredibile risposta. Ancora oggi, dopo l’update, siamo rimasti molto straniti dal comportamento delle vetture e dal sistema di guida di F1 24, principalmente per questa alternanza molto lontana da quel che è la realtà di tutti i giorni. Alcuni problemi del sistema di guida si possono visualizzare anche durante la gestione delle gomme, con gli pneumatici che tendono ad avere alcune incertezze durante diverse fasi di gara e con Intermedie e Wet che non presentano praticamente alcuna differenza quando, almeno dal nome, è possibile capire come le due non dovrebbero essere intercambiabili.
Tra i fattori positivi, invece, possiamo notare come le gomme tendano a consumarsi meno guidando in maniera pulita e una migliore gestione della parte elettrica della power unit, con l’ERS che viene erogato ad inizio rettilineo e sparisce del tutto una volta raggiunta la massima velocità.
Sono anni che i giochi di Formula Uno si allontanano dall’aspetto simulativo, andando ad avvicinarsi maggiormente a un pubblico più arcade ed eliminando quasi del tutto le novità dal punto di vista della simulazione, nonostante vengano effettuati sempre più tornei eSport e i team stiano investendo sempre di più sul settore. Purtroppo non esistono alternative, le più vicine sono alcune mod di iRacing, e visto l’interesse di gran parte del circus al settore sarebbe necessaria una cura maggiore anche per coloro che hanno interesse nell’aspetto simulativo.

Dal punto di vista delle modalità non c’è da andare molto nel dettaglio, visto che sono anni che ormai queste rimangono uguali. Per l’ennesima volta, infatti, dobbiamo contare l’assenza di Braking Point, la modalità storia che ha fatto il suo debutto nel 2021 e ha continuato la sua seconda “stagione” nel 2023. Oltre alla Carriera da pilota, troveremo anche quella come scuderia in cui coprire la duplice figura di Team Principal e pilota, con la gestione di tutti gli aspetti amministrativi ed economici a farla da padrone. Oltre a queste due è possibile partecipare con un amico a una carriera da pilota in co-op, per rendere il tutto ancora più avvincente o – al contrario – insultarsi in tutto e per tutto nel caso di duelli alla Hamilton/Rosberg. Purtroppo non ci sono grandi novità rispetto al passato perché Codemasters non ha implementato nulla di particolarmente innovativo nelle sue modalità; ovviamente essendo un gioco “simulativo” (le virgolette sono spiegate qualche riga più sopra) è difficile creare qualcosa di diverso, ma al contempo è possibile lavorare per migliorare o modernizzare alcuni aspetti del MyTeam o delle Carriere. Aspettiamo, ovviamente, qualche capitolo di distanza per vedere il lavoro di Codemasters, ma al momento siamo rimasti abbastanza delusi da come si presenta F1 24 da questo punto di vista, soprattutto considerando cosa lo sviluppatore è riuscito a produrre nel corso degli anni.

Dal punto di vista grafico, invece, il gioco è stato lavorato in maniera eccellente ed è incredibile vedere come la sua stabilità venga garantita con, o senza, alcuni mezzi tecnologici come il DLSS o il Ray Tracing. Abbiamo provato la versione PC con una build ormai definibile discreta, anche se non ottima vista l’assenza di un CPU e di una GPU di nuova generazione. Dal punto di vista del framerate il gioco è stato granitico sulla nostra scelta, senza mai calare neanche nei frangenti più pesanti come pioggia o con detriti volanti a causa di uno scontro in pista. Le auto rimangono sempre meravigliose e i piloti iperrealistici, ma sentiamo come se ci fosse una sorta di immobilismo da questo punto di vista, data la mancanza di alcuni piccoli dettagli che caratterizzano la differenza tra le varie auto. Sicuramente pesa il fatto che siano rimaste ancora zavorrate PlayStation 4 e Xbox One, il che impedisce un netto passo avanti nel gameplay e nelle tecnologie da utilizzare.

In definitiva, F1 24 è un gioco da comprare nel caso in cui manchiate da troppo tempo nel panorama dei simulativi targati Codemasters. Le novità dal punto di vista del sistema di guida non sono state ancora ottimizzate e il gioco risulta problematico sotto alcuni punti di vista, nonostante il grande lavoro che sta facendo il team di sviluppo per sistemare ogni problema. Nel caso possediate i vecchi giochi possiamo dirvi di attendere qualche settimana (tempo di tirare fuori ancora qualche patch e sistemare i piccoli problemi nel gameplay) prima di acquistarlo. Per quanto riguarda il resto, invece, F1 24 è il classico gioco annuale che cambia poco rispetto al precedente e, anzi, rischia di togliere funzioni (come il Braking Point) che necessitano di più anni per essere sviluppati a dovere: un vero peccato per gli appassionati del brand che vorrebbero sempre di più, ma si sentono limitati dall’uscita annuale.

Tribe Games ® Tutti i diritti riservati.