Detroit: Become Human – Hands On

Pubblicato il 4 Ottobre 2017 alle ore 10:00
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Abbiamo provato in anteprima “Detroit: Become Human”.

Durante l’edizione 2017 della Milan Games Week, abbiamo avuto modo di provare in anteprima uno dei titoli con cui Sony ha saputo stupire il pubblico nel corso dell’E3 2016; stiamo parlando di “Detroit: Become Human” di Quantic Dream, il cui lancio è previsto nel corso del prossimo anno. Buona lettura.

Alta tensione a Detroit

La sessione di gioco, messa a disposizione nell’apposito padiglione di Sony, ripropone lo scenario già mostrato in altre manifestazioni; nei panni di Connor (un androide in forze al Detroit Police Department) dovremo risolvere una complicatissima situazione: un androide tuttofare al servizio di una facoltosa famiglia si è ribellato, uccidendo il proprietario e prendendo in ostaggio la piccola figlia. Ciò che colpisce profondamente fin dalle primissime battute di gioco, è la profonda diffidenza (per non dire ostilità) che gli umani provano nei confronti degli androidi: oltre alle seccate ed infastidite risposte del capitano della polizia, lascia il segno la reazione della madre della piccola alla scoperta di trovarsi di fronte ad un androide e non ad un poliziotto in carne ed ossa; sarà molto interessante scoprire, una volta pubblicato il titolo, se questi sentimenti saranno dovuti alla drammaticità della scena in cui ci troviamo o se siano in realtà lo specchio di una società che teme e al contempo odia questi androidi.
Tornando al nostro caso, possiamo suddividere l’azione di gioco in due fasi ben distinte: una prima fase in cui avremo la possibilità di raccogliere varie prove nell’appartamento per ottenere un preciso quadro degli eventi, ed una seconda fase in cui ci troveremo ad affrontare direttamente il “ribelle”.
Sbagliato pensare che queste due fasi siano impermeabili e ben distinte tra di loro: l’analisi forense della casa permette di scoprire importantissimi dettagli che torneranno utili nel confronto con l’androide; maggiori indizi rinvenuti, maggiori le probabilità di terminare la missione con successo. Trascorrere troppo tempo ad osservarsi intorno o non essere in grado di ottenere la collaborazione dei poliziotti presenti abbasseranno invece le possibilità di salvare la vita della bimba; questa meccanica della possibilità di successo genera nel giocatore una sensazione di sempre maggiore pressione psicologica, che nel finale arriva a toccare livelli incredibili per un videogioco, portando letteralmente a tirare un sospiro di sollievo per il buon esito della missione.

Un difficile negoziato

Raccolte tutte le prove ecco arrivare il momento topico dello scenario: il confronto con l’androide fuorilegge, in precario equilibro sul cornicione del palazzo con la bambina.
Prima di avvicinarsi a David (questo il nome del criminale) il titolo ci impartirà una nuova lezione sull’importanza di non sprecare il poco tempo a nostra disposizione: completando infatti l’esplorazione della casa in tempi relativamente brevi è possibile salvare un poliziotto gravemente ferito che giace quasi privo di sensi riverso al suolo; lo scotto da pagare per questa buona azione è un lieve calo delle probabilità di salvare Emma (la bimba in ostaggio).
Giunti a breve distanza da David sarà necessario dar fondo alle proprie doti di negoziatore per evitare di spargere ulteriore sangue innocente. La strategia migliore è senza ombra di dubbio quella utilizzata da Saturox [Conoscendo il soggetto non possiamo non nutrire dei dubbi sui mezzi utilizzati per ottenere tale risultato. NdR]: mostrarsi comprensivi nei riguardi dell’androide e cercare di empatizzare con il soggetto, porteranno ad ottenere possibilità di successo prossime al 100%, che si traducono in un rilascio senza condizioni della piccola Emma; lieto fine ma solo all’apparenza, visto che in questo specifico finale l’androide viene letteralmente fatto a pezzi dai colpi dei cecchini appostati e le sue ultime parole, cariche di amarezza e di incredulità, sono tutte rivolte al giocatore: “Mi hai mentito Connor, mi hai mentito!”. Parole simili, accompagnate da uno sguardo intenso e quanto mai umano non possono certamente lasciare indifferenti.
Parlando degli altri finali ottenuti, con una percentuale di successo intorno all’85% [Risultato ottenuto da Perrin. NdR] si assiste al sacrificio di Connor, che con una spallata scaraventa David nel vuoto e con il proprio corpo protegge Emma dalla raffica di colpi esplosi per rappresaglia dal morente androide, morendo a sua volta.
Con una percentuale di successo di poco inferiore (82%), ma abbandonando la via della negoziazione per quella del bluff, si assiste al tentativo di David di gettarsi nel vuoto con la piccola; in questo finale [Quello da me conseguito. NdR] Emma è stata letteralmente salvata per una questione di nanosecondi: Connor è stato in grado di strattonare la piccola mettendola al riparo sul terrazzo, precipitando di conseguenza nel vuoto.
Tre finali ben distinti che hanno saputo in egual modo lasciare il segno e stupirci.

Lato tecnico

Tecnicamente parlando, giocare a “Detroit: Become Human” è stato un vero e proprio piacere per gli occhi: grazie alla PlayStation 4 Pro con cui ogni postazione era attrezzata, abbiamo potuto assaporare il titolo ad una risoluzione di 4K, apprezzando anche i dettagli più minuti come ad esempio; per fare solo un esempio, i vari oggetti della camera da letto di Emma, in cui non una texture è stata vista in bassa risoluzione.
Colpisce la profondità e l’espressività dei volti: il pianto disperato della madre, la freddezza e l’impassibilità di Connor o la determinazione di David sono accompagnate da animazioni facciali di indubbia qualità che ben sanno trasmettere il senso di drammaticità della situazione che stiamo vivendo.
A fare da contorno a questo scenario vi sono le musiche e le inquadrature, di taglio spiccatamente cinematografico, in grado di arricchire la narrazione rendendola quanto mai vivida.
Il doppiaggio in lingua originale si è mostrato infine di livello eccezionale: una performance corale ispirata che perfettamente si è amalgamata nel contesto della situazione.

Conclusioni

Questa prova sul campo di “Detroit: Become Human” non ha fatto altro che alimentare l’insaziabile voglia di provare il titolo che fin dal suo annuncio lo scorso anno ci portiamo dietro.
Per quanto si trattasse di uno scenario già mostrato in vari trailer, provarlo pad alla mano è stata senza ombra di dubbio l’emozione più forte di questa settima edizione della Milan Games Week.
Non ci resta che aspettare il lancio ufficiale del titolo, con la certezza ormai ben consolidata di trovarci ad attendere un titolo dall’incredibile potenziale, non solo dal punto di vista della narrazione, ma anche del messaggio e delle tematiche di cui si farà latore: sul significato della vita e su cosa significhi realmente possedere un cuore ed un animo umano.

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