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God of War Saga – Retrospettiva

Pubblicato il 16 Aprile 2018 alle ore 10:00
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di Eren Ecatombe
@Eren Ecatombe
Un epico viaggio di vendetta e brutale melanconia.

“Gli Dei dell’Olimpo mi hanno abbandonato. Ora non c’è più speranza.” Queste le afflitte parole che sancirono l’inizio del cremisi turbinio d’iraconda vendetta, l’impulsiva furia spartana di uno spettro marmoreo all’ombra delle divinità olimpiche; il preludio di una delle più crude e viscerali saghe del medium, la quale smosse gli stessi pilastri del genere action / hack ‘n’ slash dell’epoca PlayStation 2: God of War, il magnum opus del talentuoso team dei Sony Santa Monica che echeggiò nell’auditorium videoludico col tonante passo di un prodotto conscio del proprio spessore e validità.
Un’opera che di lì a poco sarebbe divenuta un caposaldo all’interno del settore.

God of War, il primo originale capitolo dell’epopea del possente Kratos, irruppe su console PlayStation 2 nel marzo del 2005, durante il corso di quella che potrebbe essere definita come la Golden Age dell’epoca videoludica, raffinando il genere e affiancandosi sin dal suo vemente esordio ad altri colossi dell’industria che, di lì a poco, sarebbero divenuti i caposaldi della categoria action, quali ad esempio l’illustre e ad oggi insuperato Devil May Cry 3.
L’opera dei Santa Monica Studio puntava ad una reinterpretazione della mitologia greca, ponendo sotto i riflettori l’anacronismo tra il dio della guerra Ares e il burbero generale spartano in quello che sarebbe divenuto il punto d’origine di una trama la quale faceva del desiderio di vendetta e redenzione i propri punti cardine; il tutto, ovviamente, affiancato al viscerale sistema di combattimento: preciso, fluido e immediato da apprendere ma profondo e adeguatamente stratificato una volta padroneggiato, il sistema d’azione di gioco altri non era che istinto guerriero fatto gameplay, un combat system solido e con telecamera fissa che fondeva tra loro combo effettuabili con le fidate Lame del Chaos ad attacchi magici AOE o maggiormente diretti, così come ben ponderate sezioni quick time event, riuscendo in tal modo a non spiazzare il giocatore con una lista di moveset artificialmente estesa bensì spingerlo alla sperimentazione di differenti tattiche d’approccio, facendo dell’esperienza personale il focus primario.
Se all’appagante feeling affianchiamo la risoluzione di puzzle ambientali così come un level design lineare ma preciso e ben diversificato, non sorprende che God of War sia divenuto un cult all’interno dell’industria di settore nella sua totalità, un must have per ogni fan del genere e un monte da scalare per ogni sviluppatore futuro.

Gli spettri del passato di Kratos trovarono nuove radici, riaffiorando nel 2007 in God of War II.
Sequel diretto del primo omonimo capitolo nonché un’opera di proporzioni titaniche che s’impose come una totale e completa evoluzione del suo predecessore sotto ogni punto di vista, il titolo riuscì nella non facile impresa di offrire ai giocatori un’esperienza ancor più completa: la brutalità dei duelli permase, divenendo tuttavia maggiormente profonda e stratificata mediante la rivisitazione dell’utilizzo delle abilità magiche. Le sezioni platform continuarono a risultare una piacevole costante all’interno di un mondo di gioco ancor più massivo ed esteso nelle sue proporzioni, che faceva ricorso a tutta la potenza hardware della console di casa Sony. Non solo un degno seguito delle gesta del fantasma di Sparta da molti riconosciuto come il miglior capitolo della saga, ma anche l’ultimo canto generazionale dell’era PS2, il tripudio della totale libertà creativa fatta sanguinolenta esperienza ludica.
Dopo l’incessante successo critico e commerciale, la serie si distaccò dalla console madre facendo dapprima una fugace apparizione su dispositivi mobile tramite “God of War: Betrayal” (JAVA Game dallo stampo 2D) per poi palesarsi sotto le sembianze di titolo per PlayStation Portable con “God of War: Chains of Olympus”: un prequel del primo capitolo sviluppato dal team di Ready at Dawn che portava su console portatile tutte le migliorie implementate dal secondo titolo del filone narrativo principale.

Il 2010 fu ombrato da un manto cremisi, presentandosi come l’anno in cui la cinerea belva vendicatrice ebbe la sua rivalsa contro le divinità olimpiche: God of War III irruppe come esclusiva Sony PlayStation 3, espandendo la formula di gioco che da sempre aveva caratterizzato l’opera, diversificando ulteriormente il gameplay e offrendo ai giocatori la possibilità di effettuare combo ancor più complesse e gratificanti mediante il cambio di armi in tempo reale all’interno di un level design imponente, il quale indubbiamente sancì nuovi standard per quanto riguarda dimensioni ed estensioni di boss fight e livelli.
Senza dubbio il titolo meno longevo della saga ma al contempo quello maggiormente frenetico; un gioco che avrebbe sancito la degna conclusione cronologica di questa epica avventura del mythos greco.
Seguirono una nuova release per console portatile nel 2011 denominata “God of War: Ghost of Sparta”, che narrava del rapporto di fratellanza tra Kratos e suo fratello di sangue Deimos, e “God of War: Ascension”, ennesimo prequel collocato cronologicamente agli albori delle gesta dello spartano, titolo che fu il primo ad introdurre all’interno della serie una componente online multigiocatore competitiva.
A tali release si aggiunsero varie edizioni rimasterizzate per console di vecchia e attuale generazione, eppure qualcosa era già iniziato a mutare, ponendo il team un crocevia: lasciar perire il brand oppure tenerne il DNA, rivoluzionandone tuttavia la struttura ossea. La scelta si palesò durante il corso della conferenza Sony sul palco dell’E3 2016 con l’annuncio del nuovo God of War.

La rinascita del franchise ne ha comportato una totale reinterpretazione, non solo ricollocandone la narrativa in un setting inedito e prossimo all’Edda poetica e la cultura mitologica norrena, ma anche offrendo una nuova ottica con cui interpretarne il protagonista, elargendo una nuance singolare ma decisamente necessaria al fine di svecchiare e rinvigorire tale germoglio videoludico.
Lo stesso mondo di gioco, seppure restando ancorato ai classici standard lineari di un opera story-driven, punta ad offrire percorsi alternativi e meccaniche di gameplay smilari ad un action RPG con gestione del proprio equipaggiamento e arsenale. Parlando proprio della potenza offensiva dello spartano, le iconiche lame saranno ora sostituite da uno scudo e da un’ascia denominata Leviathan, la quale vanta la singolare abilità di poter essere proiettata contro gli avversari e richiamata dal giocatore alla semplice pressione di un tasto del pad PlayStation 4.
Lo stesso gameplay è dunque mutato: pur restando legato ai suoi predecessori in quanto a gore e barbarie, da ciò che è stato possibile percepire dalle parole profuse dagli sviluppatori così come dal materiale video rilasciato, il combat system è ora più lento e metodico, con telecamera non più fissa e con un focus sul lavoro di squadra giacché Kratos non sarà solo in tale avventura tra le gelide lande nordiche.
Esattamente come Ellie per Joel in The Last of UsAtreus, il figlio del protagonista, costituirà la nostra spalla e sarà profondamente legato al gameplay in un modo tale da non risultare mai un impedimento, bensì una reale risorsa da sfruttare.
Un titolo che punta dunque a rilanciare un franchise, un’opera che non teme il cambiamento ma lo accoglie e lo sfrutta così da servire al mercato una potenziale nuova killer app dallo stampo nostalgico ma moderno al tempo stesso.
Mettendo da parte i riscontri estremamente positivi che tale opera sta già ricevendo da svariati caposaldi del giornalismo di settore, non resta che attendere l’imminente 20 aprile al fine di comprendere, pad alla mano, se la visione creativa di Cory Barlog e dei Santa Monica Studio saranno in grado di donare un futuro al brand e raggiungere nuovamente le vette olimpiche dell’industria.

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